Sin dalle prime scene mi sono reso conto di avere davanti un anime particolare, degno di nota, di quelli che ne escono davvero pochi, maledetti (o benedetti, probabilmente) a restare sempre prodotti di nicchia, apprezzati da pochi appassionati, spesso e volentieri spettatori mossi più dalla compulsione alla visione che dalla passione vera e propria. La verità è che a Uchoten Kazoku (La Famiglia Eccentrica) non si sarebbe dato un soldo bucato qualora ci si fosse limitati a leggerne la presentazione: invece, qua è la, coperti dal clamore di altri titoli più mainstream, si possono notare valutazioni e apprezzamenti fatti soprattutto da esperti del settore, che lo considerano uno dei migliori anime attualmente trasmessi. E se le piccole cose avessero più valore, penso in parecchi lo riterrebbero il migliore. Da diverso tempo guardo con grande attenzione agli anime prodotti della P.A. Works, perchè sebbene negli ultimi anni ne abbiano prodotti pochi non hanno mai deluso le mie aspettative (vogliamo citarne alcuni? Angel Beats!, Hanasaku Iroha, Another e Red Data Girl) anche perchè non sono rimasti troppo legati a uno specifico genere; avevo pertanto fin dall’inizio l’occhio puntato su Uchoten Kazoku.
Questo anime è ambientato in una Kyoto moderna, eppure come molti amanti dell’animazione hanno amato ad imparare, ancora ricca di tutti quegli elementi risalenti agli splendori dell’epoca imperiale; l’aria respirata è un misto di antico e moderno, con tutti i segni dell’urbanizzazione tipica dei nostri giorni ma con grandi spazi lasciato ai giardini, al marrone del legno e della ruggine, ai tendaggi che adornano i mercati, alle stradine e i viottoli pieni di cianfrusaglie che quasi impediscono il passaggio, ad abitazioni piccole, eppure calde, accoglienti e disordinate come la vita di tutti i giorni. In questa meravigliosa città abitano e coesistono tre razze: gli umani, i tanuki e i tengu. I primi vivono calpestando la terra, i secondi sotto di essa, i terzi si librano nel cielo… eppure la modernizzazione ha confuso tutti i territori e distrutto i confini, e ritroviamo tanuki che vicono come umani, in mezzo ad essi, tengu che hanno perso la capacità di volare e umani che hanno appreso segreti e magie da entrambe le razze. E questa è la storia degli individui chiave invischiati nelle difficili manovre diplomatiche che rendono possibile questa convivenza.
Protagonista della vicenda è il giovane tanuki Yasaburo Shimogamo, terzo figlio dell’uomo che riunì tutte le famiglie di procioni in una tribù forte in grado di contendere il territorio a umani e tengu, che passa la maggior parte del suo giorno a trasformarsi in quello che più gli aggrada (mostrandosi particolarmente abile in questo) bighellonando e occupandosi del suo vecchio maestro Akadama, un tengu saggio quanto testardo, in possesso di tesori di inestimabile valore ma privo della capacità di volare, persa negli anni a causa di ferite e acciacchi vari. I due sono legati all’umana Benten, che dopo aver appreso dal tengu tantissime arti (come quella del volo) li ha abbandonati diventando una specie di criminale, che con i suoi Compagni del Venerdì controllano e gestiscono l’equilibrio tra le genti nella moderna Kyoto. Questi Compagni poi, sono in qualche modo legati ai tanuki da una bizzarra e macabra tradizione: una volta l’anno catturano e cucinano una di queste creature, e qualche anno prima scelsero Soichiro Shimogamo, il padre del protagonista Yasaburo, privando questa razza della loro guida e mettendo in crisi le varie famiglie a causa dell’impossibilità di trovare un nuovo leader egualmente carismatico.
A questo punto però risulta necessario rispondere ad alcune domande che potrebbero sorgere. La prima, indubbiamente, è se la tradizione di mangiare tanuki ha reali radici nella cultura giapponese o è stata pensata dal creatore della novel a cui questo anime si ispira. Dopo qualche ricerca, pare che qualche antica tradizione riguardante la consumazione di questi animali sia realmente esistita (da cui potrebbe prendere il nome la pietanza “tanuki udon”, trall’altro), anche perchè è praticamente certo che l’essere umano abbia provato a mordere qualunque cosa si muovesse, prima di stabilire cosa avesse un buon sapore e cosa no. Effettivamente poi, i Compagni del Venerdì ammettono che i tanuki abbiano un buon sapore, cosa che ritengo improbabile essendo questi animali sostanzialmente onnivori; ma come vivono i tanuki questa terrificante minaccia? Probabilmente, il fatalismo con cui queste bestiole accettano il rischio di poter essere catturati e mangiati è molto difficile da afferrare senza considerare in alcun modo il fatalismo caratteristico della cultura giapponese. Nell’anime esiste poi un rapporto con il cibo, con la consumazione della vita di un altro essere vivente, indubbiamente molto profondo e importante ai fini della comprensione della tradizione dei Compagni, e del modo di vivere e pensare di alcuni membri di questo gruppo: cibo come vita, come responsabilità di evitare sprechi e cattivi sapori, e tante altre riflessioni forse un tantino romantiche, ma affascinanti vista la dominante cultura del “cibo come oggetto” sviluppatasi nella società moderna.
Un mondo magico, colorato, fiabesco, e per certi versi epico come possono essere gli aneddoti di gioventù raccontati da anziani sognatori, vi attende in Uchoten Kazoku: probabilmente le storie di questi bricconi e brav’uomini non sono degne di essere narrate, ma rappresentano veramente la possibilità di calarsi in una visione disincantata e realmente appassionante. Ogni immagine, ogni animazione, ogni veduta, ogni squarcio, è dotato della sua piccola magia che ci attira, ma scompare proprio come uno scherzoso tanuki appena gli prestiamo attenzione, lasciando spazio all’elemento successivo. Dieci e lode alla P.A. Works.