È infine arrivato il momento che da svariati mesi attendevo, sin dal suo annuncio sapevo che avrei potuto trattare la terza serie di The World God Only Knows, manga che come sanno quelli che mi conoscono, e che credo un paio di volte mi sia capitato di dire sul nostro blog, è indubbiamente il mio preferito degli ultimi anni. Il manga, però.
Non voglio sembrare il solito brontolone, di quelli che si presentano sempre con la tipica espressione “il libro/fumetto/dipinto rupestre era meglio”, ma le prime due serie avevano un serio difetto che temevo fin dal principio potesse trascinarsi dietro anche la terza: la lentezza. In ventiquattro episodi sono state adattate le prime sette conquiste e l’arrivo del personaggio chiave di Haqua, scelta che ha distrutto uno degli aspetti più affascinati di Kaminomi, il continuo botta e risposta tra i personaggi costruito intorno agli imprevisti causati da devastanti reazioni a catena. Così, quando venne annunciata la terza serie, e ci si aspettava che le “conquiste” fossero trattate con passo più spedito, la Manglobe in collaborazione con la Shogakugan e l’autore Tamiki Wakaki decidono di rischiare tanto, e proporre al pubblico l’adattamento della Saga delle Divinità, il punto di questo manga che può essere definito la sua genesi, per una serie di eventi e dinamiche narrative che sono state chiave per il successo di questo lavoro. Il problema è che, per fare questo sono state saltate otto conquiste di cui tre fondamentali (riassunte brevemente all’inizio), mentre la nona mancante è stata adattata come Oav nel Tenri-hen qualche mese fa. Dopotutto era impensabile andare avanti nella trama senza presentare Tenri, uno dei personaggi più importanti di tutta la vicenda sin dalla sua prima apparizione. Il secondo problema, poi, è che in una stagione (quindi dodici episodi) hanno deciso di adattare ben settantre capitoli: dal 116 (When the Sun Goes Down) al 189 (The Memory of My First Love)… capitoli che poi trattano una questione che era già stata anticipata nel 63 (A Coincidental Meeting 2). Un suicidio insomma, perchè si è trattato di tagliare pezzi, modificarne alcuni, rapidizzare alcune spiegazioni… a pagare è la fluidità della vicenda, che appare troppo rapida, ma è stato riconquistato il ritmo tipico della serie. Ma se sono rimasti leggermente basiti di fronte a questa scelta i fan del manga, che si sono visti troncare più di 70 capitoli di conquiste, provate a pensare come sia impossibile seguire la vicenda per coloro che il manga non lo leggono.
Eppure non sono triste per tutto questo: credo di essere, in questa circostanza, capace di vedere “il bicchiere mezzo pieno“, dopotutto il mio manga preferito sta riacquistando visibilità, e come lettore non posso che esserne felice. Probabilmente è anche questo il motivo che ha portato i responsabili di questa terza serie a fare una scelta del genere. È in questi settanta capitoli che tutta la complessa costruzione mentale di Wakaki comincia ad assumere forma, in una complicatissima sequenza di eventi legati da una comune dinamica causa-effetto che noi lettori stiamo ancora esplorando e cercando di comprendere, perchè se è vero che la Saga delle Divinità è terminata, essa è determinante per tutto lo svolgersi della storia. Questa saga ha dato inizio a un qualcosa di più ampio di una serie di conquiste autoconclusive, che, al giorno d’oggi è difficilissimo sapere se vedremo mai animato; in Italia abbiamo una consolazione, perchè il manga è attualmente in corso di pubblicazione per opera della casa editrice Star Comics e guardacaso, in questo periodo sono stati distruibuiti proprio i volumi relativi all’arco narrativo usato per questo anime. Per questo, nel caso compriate il manga, credo di non sbagliare quando vi consiglio di rivolgere l’attenzione prima al prodotto cartaceo, e poi a quello animato: posso assicurarvi che lo gusterete maggiormente (qualora il manga vi stia piacendo).
È difficile, con una terza serie, scegliere come parlarvi di un anime che è stato soprattutto costruito per essere un immenso omaggio ai fan. Già dalla mastodontica sigla di dodici minuti cantata da Saori Hayami (anche doppiatrice di Haqua), che come sempre accade per le sigle di Kaminomi è in inglese, abbiamo un immenso tributo a noi appassionati. Dodici minuti che già di per se raccontano, sintetizzano e anticipano quello che accade in questo arco narrativo allo spettatore già preparato. Per me la serie vale già solo per la sua sigla, che in pochi versi riesce perfettamente a rendere l’atmosfera e le emozioni evocate da questa vicenda a volte epica, a volte romantica, a volte umoristica, in cui tutto si muove grazie all’instancabile desiderio del protagonista di dare un lieto fine, e un sorriso, a tutti. Tranne che a se stesso.
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