Il termine Poku deriva dalle parole Pop e Otaku ed è stata coniata dall’artista giapponese Takashi Murakami per indicare l’unione di queste culture che sono alla base della sua produzione. Eppure, come dichiarato dallo stesso artista in un’intervista al Journal of Contemporary Art, si tratta semplicemente di un nome simpatico ideato per scopi di marketing al fine di creare interesse attorno ai suoi lavori.
Chi è dunque Takashi Murakami, che ha fatto del mondo Otaku la principale risorsa e fonte d’ispirazione della propria arte? E qual è il suo rapporto con questo particolare settore?
Takashi Murakami nasce a Tokyo il 1° febbraio 1962. Consegue il dottorato presso l’Università Nazionale di Belle Arti e Musica di Tokyo. Il suo background culturale gli fornisce dunque una vasta conoscenza della tradizione artistica giapponese, ma allo stesso tempo un’attenta analisi del contesto culturale e artistico a lui contemporaneo lo spinge a ricercare un metodo del tutto personale per imporsi in questo settore.
Esplicito e diretto, Murakami spiega senza mezzi termini la propria visione dell’arte e del Giappone contemporaneo.
Murakami riscontra l’assenza, nel Giappone del dopoguerra, di un’effettiva innovazione a livello concettuale e stilistico, adeguata a rappresentare artisticamente l’identità giapponese. A suo avviso la società giapponese, incapace di comprende la divisione gerarchica tra “alto” e “basso” nel mondo dell’arte tipica della cultura occidentale, non ha saputo generare un proprio mercato dell’arte ed un proprio settore che permettesse la crescita e l’affermazione degli artisti del Paese del Sol Levante. Tutto ciò che è stata in grado di fare è stato trasformare l’arte in una sorta di hobby attraverso il quale recepire le istanze provenienti dall’Occidente.
Questi fattori ambientali lo spingono dunque a ricercare in Occidente un terreno fertile grazie al quale mettere a frutto la propria natura artistica. Qui svolge accurate ricerche di mercato per capire i fattori che favoriranno la sua affermazione in qualità di artista. Ovviamente non basta conoscere le tendenze. Si finirebbe col diventare uno dei tanti emulatori ed esponenti più o meno sconosciuti di un determinato movimento. I prodotti artistici necessitano di una qualità sostanziale che ne caratterizzi la concettualizzazione e li identifichi come appartenenti ad un determinato filone di pensiero.
Murakami individua la propria cifra stilistica nella rappresentazione della subcultura Otaku. L’affascinante e controverso mondo degli appassionati di manga ed anime, con i suoi eccessi ed i suoi risvolti sociali, diviene per l’artista un fattore rappresentativo della contemporaneità giapponese, di una società che non ha saputo superare il trauma della Seconda Guerra mondiale e che si è rifugiata in un mondo immaginario nel quale trovare salvezza dando sfogo alla propria fantasia. Murakami si interessa al mondo Otaku quando non ha ancora acquisito notorietà ed importanza a livello internazionale, relegato a fenomeno di nicchia fortemente discriminato e considerato in maniera negativa dalla società giapponese.
La filosofia di Murakami è rappresentata inoltre dal concetto di superflat (superpiatto), in cui viene messa in evidenza l’assenza di profondità delle immagini chiaramente ispirate al mondo di manga ed anime, al consumismo ed al feticismo sessuale, a volerne rappresentare in maniera critica la superficialità, con la quale la società giapponese soddisfa i propri bisogni più reconditi ed inespressi.
Le tavole dell’artista si riempono dunque di motivi e figure dai colori sgargianti, declinati in forme e dimensioni differenti. Le action figures raggiungono dimensioni reali ed assumono connotati grotteschi che le fanno uscire dalla contestualizzazione otaku.
Il riferimento alla cultura Pop e l’utilizzo di immagini ispirate ai fumetti può sembrare un chiaro riferimento alla Pop Art di Andy Warhol e Roy Lichtenstein. Anche la costituzione della Hiropon Factory che diventerà in seguito la Kaikai Kiki richiama l’esperienza de “The factory”, lo studio di New York di Andy Warhol attorno al quale gravitarono artisti, musicisti, letterati ed elementi di spicco dell’élite culturale dell’epoca.
Le differenze però stanno proprio nelle intenzioni e nelle modalità.
Consapevole di non aver ideato alcunché di innovativo, Murakami propone al pubblico occidentale una chiave di lettura per interpretare il Giappone dal punto di vista sociale e culturale, offrendo un prodotto che risulta esotico ma allo stesso tempo rappresentativo di un disagio che arriva ad assumere un carattere universale. Come gli artisti delle Pop Art, Murakami attinge dal “basso”, dalla cultura Pop, per portarlo in “alto”, per elevarlo attraverso l’azione creativa di cui solo l’artista può essere artefice. Per quanto riguarda Murakami però il percorso non è unidirezionale, in quanto il “basso” non solo diventa “alto” attraverso il dipinto o la scultura, ma ritorna ad essere bene di consumo nel momento in cui l’oggetto d’arte trasforma e reinterpreta se stesso diventando T-shirt, portachiavi, figurina o borsa Luois Vuitton in edizione limitata.
Quello che infatti colpisce di questo artista è proprio la gestione manageriale del proprio lavoro. Attraverso la creazione della Hiropon Factory, diventata nel 2001 Kaikai Kiki Co., l’artista riunisce attorno a sé numerosi collaboratori che lo aiutano nella realizzazione ed allestimento delle proprie opere, ma non solo. Lo studio dell’artista si propone anche come punto di incontro ed organizzazione per diversi artisti, manager e professionisti che ottimizzano il proprio lavoro attraverso un proficuo scambio di idee e la creazione di collaborazioni e reti di contatti.
Nel 2008 il Time Magazine ha incluso Takashi Murakami nella lista delle 100 persone più influenti, e nello stesso anno, la scultura “My Lonesome Cowboy” è stata venduta per 15,2 milioni di dollari in un’asta da Sotheby’s.
Per ammirare le opere di questo artista vi lascio questo link che vi permetterà di effettuare un tour interattivo. Aggiungo inoltre il link alla pagina della mostra presso il MOCA, il Museo di Arte Contemporanea di Los Angeles, che contiene 8 video nei quali Murakami illustra le proprie opere.
E per finire due video
[youtube l3i2hyHK0_g]
[youtube yg1RP_eaoRM]
Sirrus 24 Maggio 2010 il 12:21
Articolo interessante e ben scritto. Su dai, commentate e leggete: fatevi una cultura, invece di scaricare solo le scan! :pinch:
AnnaRecchia 24 Maggio 2010 il 12:34
Grazie Sirrus :blush:
aobara 24 Maggio 2010 il 13:55
Fantastico :w00t: ! ne avevo sentito parlare in Giappone ma non pensavo fosse tanto famoso 😯
Velociraptor Uchiha 24 Maggio 2010 il 14:12
Davvero un bella informativa, cosa c’� ne facciamo di wikipedia se abbiamo AnnaRecchia? 😉
ma una sola cosa non mi � chiara… (perverse mode on 😈 ) cosa esprime con quelle action figures? :blink: ho capito solo “svookkkh impotens” 😆
AnnaRecchia 24 Maggio 2010 il 14:31
Penso tu ti riferisca all’intervista nel video. In pratica dice che il Giappone, dopo la sconfitta subita nella Seconda Guerra Mondiale, risente di un problema culturale, poich� la cultura giapponese non ha “le palle”, � impotente (queste sono le sue parole). E’ come se il Giappone fosse stato “castrato” dalla guerra (per usare le parole dell’intervistatore) e abbia cercato, secondo alcuni, di riabilitare la propria immagine devastata dalla guerra creando un immaginario di personaggi e figure carine e colorate.
Velociraptor Uchiha 24 Maggio 2010 il 15:03
:shocked: wao!! davvero un fine molto nobile, peccato che nella cultura occidentale certi sforzi vengano additati come perversi e mostruosi :ermm: senza mai andare fino in fondo e cercare a cercare la vera natura delle cose… chi troppo ha, se ne frega degli altri… :angry:
Vale 26 Luglio 2010 il 13:39
Ciao Anna, posso chiederti se per caso hai qualche materiale scritto sull’argomento?
Mi saresti di grande aiuto 🙁
Jacques Mate 24 Maggio 2010 il 22:28
Una critica forte ed allo stesso tempo funzionale al proprio tornaconto in qualit� di artista collocato in un sistema sociale ed in un circuito settoriale nel quale deve farsi valere. Si apprezza l’onest�: per lo meno, in fondo, un tentativo di scuotere i connazionali c’� ed � sicuramente pi� evidente che nelle opere di Hirst per i britannici e per il mondo (nel tentativo di Damien di migliorare in mondo, forse solo da un punto di vista estetico, pi� che altro..).
Le riflessioni, di certo pi� interessanti che le mere indagini di mercato a sostegno della propria figura, di Murakami trovano conferma anche nel testo di Alessandro Gomarasca “La bambola ed il robottone – Cultura pop nel Giappone contemporaneo”.
vale 24 Luglio 2010 il 12:20
Salve a tutti, sapreste dirmi chi oltre Murakami ha nella sua arte (ovviamente parlo di artisti giapponesi) influenze otaku e pop? Grazie mille
AnnaRecchia 27 Luglio 2010 il 09:58
Ciao, purtroppo non so come aiutarti in questo senso, non sono un’esperta del settore, le informazioni che ho trovato le ho raccolte tramite internet per pura curiosit� personale, non ho una bibliografia di riferimento da consigliarti.
Credo per� che potresti fare riferimento al libro citato da Jacques Mate “La bambola ed il robottone � Cultura pop nel Giappone contemporaneo”, probabilmente riusciresti a trovare informazioni utili 😉