Secondo i dati diffusi mercoledì scorso dal Ministero dell’istruzione, sempre meno studenti giapponesi decidono di studiare all’estero. Dopo aver raggiunto la cifra più significativa nel 2004, con 82.945 studenti che hanno deciso di vivere un’esperienza accademica all’estero, si è verificato un calo continuo del numero di studenti che decidono di mettersi alla prova confrontandosi con una realtà formativa e culturale diversa dalla propria. Nel 2008 il numero è sceso dell’11% rispetto al 2007. Di questi, 29.264 hanno studiato negli Stati Uniti (in calo del 13,9% rispetto al 2007), 16.733 in Cina (in calo del 10,2%) e 4.465 in Gran Bretagna (in calo del 21,7%).
Questi dati sembrano essere in controtendenza rispetto al trend generale che vede nello studio all’estero una risorsa e una esperienza formativa di ineguagliabile valore. Infatti, mentre il numero degli studenti giapponesi che decidono di studiare all’estero diminuisce, il numero di coloro che si recano nel Paese del Sol Levante per un periodo di studio è in aumento. Secondo la Japan Student Services Organization, un ente amministrativo indipendente, il numero degli studenti stranieri che studiano in Giappone ammonta a 141.774, con un aumento del 6,8% rispetto all’anno precedente. Di questi il gruppo più numeroso è costituito dai cinesi con 86.173 studenti (in aumento del 9%), seguiti dai Sudcoreani con 20.202 (in aumento del 3%), dai Taiwanesi con 5.297 (in calo dello 0,7%), i Vietnamiti con 3.597 (aumento del 12,4% ) e i Malaysiani con 2.465 (in aumento del 2,9%). E non dimentichiamo che quest’anno c’è anche il nostro Sakuya_Kira!
A quanto pare uno dei motivi per i quali gli studenti giapponesi decidono di non studiare all’estero sta nel fatto che temono di non riuscire a trovare lavoro al loro rientro. Pare infatti che molte aziende giapponesi non accettino le domande di assunzione da parte degli studenti giapponesi dopo il terzo anno di università e che questi debbano quindi mettersi alla ricerca di un’opportunità di lavoro abbastanza presto.
Che dire, personalmente io non sono assolutamente d’accordo con un approccio del genere, sia da parte delle aziende che degli stessi studenti. Un periodo di studio all’estero ha un valore formativo e di crescita, sia personale che professionale, impareggiabile e chi ha affrontato tale esperienza ha un bagaglio culturale e una capacità di relazionarsi con il mondo esterno che non possono essere raggiunti restando chiusi all’interno del proprio contesto sociale, culturale e accademico in questo caso. A questi studenti dovrebbe essere garantita una corsia preferenziale nel mondo del lavoro, data l’esperienza e le competenze che hanno acquisito stando all’estero. A quanto pare invece non è così. E una nazione come il Giappone, che riveste un ruolo così importante nell’economia e negli equilibri diplomatici mondiali, non può permettersi una tale chiusura verso l’esterno. Se da un lato si dimostra un Paese molto ospitale per chi decide di studiare lì, come dimostrato dal numero di studenti stranieri in continuo aumento, dall’altro sembra non voler rinunciare all’inossidabile chiusura che da sempre contraddistingue il Paese del Sol Levante.
Voi cosa ne pensate?
Fonte [The Japan Times]
Sakuya_Kira 29 Dicembre 2010 il 10:18
Beh si, generalmente i giapponesi che hanno studiato all’estero sono molto piu’ aperti mentalmente rispetto agli studenti “normali”.
D’altro canto, come scrivi tu, in Giappone si cerca lavoro presto, precisamente un anno e mezzo prima di laurearsi, quindi, chi va un anno fuori, perde un bel po’ di tempo secondo la societ� giapponese.
Purtroppo in molti casi la mentalit� giapponese � poco elastica.
Shishimaru 29 Dicembre 2010 il 11:45
C’� poco da fare,anche il Giappone ha i suoi brutti lati. Chi viene da fuori potrebbe semplicemente ignorare certe cose,quindi tutto appare migliore.
Ace 29 Dicembre 2010 il 14:36
Decisamente noi queste cose da fuori non le percepiamo ma per loro deve essere stressantissimissimo
redruby 30 Dicembre 2010 il 13:12
questi dati potrebbero essere correlati all’aumento dell’offerta formativa interna alle aziende. Mi spiego, qui in asia molte aziende offrono a giovani laureali contratti “vincolati” che prevedono la crescita del neo assunto all’interno dell’azienza. Un esempio? I nuovi tecnici Simens appena laureati vengono qui i Cina a fare i corsi… salario misero ma le spese le paga la ditta
AnnaRecchia 30 Dicembre 2010 il 17:18
Pu� darsi, per� mi sembra comunque una cosa molto “inquadrata” e vincolante… io preferisco avere la possibilit� di scegliere come anche di vivere esperienze di vita che potrebbero farmi cambiare idea su quelle che possono essere le mie aspettative per il futuro… � un po’ sconfortante avere il “destino segnato” in questo modo…
redruby 31 Dicembre 2010 il 02:52
ciao Anna!! bello l’articolo! sono daccordo con te, questo infatti � un modo ingiusto per vincolare tecnici all’azienda. Avere il �destino segnato� � comunque una prerogativa comune del mercato del lavoro in Asia. Se una ditta paga per una formazione professionale vuole delle garanzie.
Nel caso di Cina e Malesia, parte addirittura dall’ingresso all’universit�, lo Stato finanzia lo studente capace con un prestito (un mix tra prestito reale e borsa di studio), che lui dovr� restituire (in %) lavorando per un periodo limitato in aziende di stato.
I costi delle universit� sono insostenibili se paragonati agli stipendi delle famiglie…
Per i ricchi.. tutto un altro discorso.