Salve a tutti, benvenuti al tipico appuntamento mensile con l’angolo Riflettori su… e questo mese, al centro delle mie analisi c’è un titolo tornato a far parlare di se recentemente: quello di agosto sarà infatti l’ultimo capitolo. Soul Eater è un manga (e un anime) di Atsushi Ohkubo, pubblicato dalla Square Enix a cadenza mensile dal 2003: è il primo vero successo di quest’autore, che si è fatto le ossa come assistente di Yuya Aoki e Rando Ayamine di Get Backers. Il manga è pubblicato in Italia dalla Panini Comics, e la serie animata di 51 episodi è stata anche adattata e trasmessa nel 2010 sul canale Rai4. È forse l’opera più mainstream che ho mai recensito su Komixjam fino a questo momento.
La trama di base, e le dinamiche narrative in Soul Eater non saranno mai definibili innovative o originali, anzi, il manga soffre anche di castranti paragoni con due colossi della Shueisha, Naruto e Bleach, che tendono immediatamente ad eclissare questo titolo essendo usciti prima e avendo, per certi versi, indubbiamente influenzato Ohkubo nella creazione del suo manga. Eppure se ve ne parlo vuol dire che qualcosa di buono, qualcosa che valga la pena evidenziare, c’è. La trama, dicevo, è molto lineare: la protagonista Maka Albarn è l’unica figlia della migliore Maestra d’Armi in circolazione e dell’Arma personale del Shinigami-sama (Sommo Dio della Morte), e si impegna quotidianamente per essere degna della madre che tanto ammira, e del padre che tanto odia. I genitori di Maka sono infatti separati, a causa delle continue scappatelle del padre, e la ragazzina sembra essere chiaramente schierata dalla parte della madre; non si lascia comunque intralciare nel suo cammino, e stringe una salda amicizia con Soul Eater Evans, definito un’Arma, un essere umano in grado di trasformarsi in una falce. Insieme studiano nell’accademia fondata da Shinigami-sama dove vengono addestrati Maestri e Armi per combattere Streghe e umani con anime corrotte dalle forze del male (uova del kishin). Si aggiungeranno al palco dei personaggi principali prima Black Star e l’Arma Ninja Tsubaki Nakatsukasa, successivamente Death the Kid (figlio di Shinigami-sama) e le sue due Pistole Gemelle Patty e Liz.
Prima di lanciarci nell’analisi approfondita della serie, dei suoi personaggi e di come viene gestita la trama, è necessario sottolineare per bene come le due serie nominate sopra muovono scacco a Soul Eater, per elementi e dinamiche che hanno introdotto qualche anno prima. La struttura dell’accademia, il tipo di addestramento che a volte i suoi iscritti devono superare, come pure la presenza di missioni e la formazione di squadre permanenti composte ciascuna da tre coppie Maestro/Arma ricordano per certi versi Naruto nella sua parte iniziale, soprattutto la parte pre-Shippuden. Come se non bastasse, Black Star, un personaggio di cui parlerò successivamente, ammicca decisamente troppo alla figura del ninja attualmente più famoso nel mondo dei fumetti, Naruto. Questi due personaggi, seppure molto simili, sono comunque sfruttati diversamente nella costruzione della trama. Le dinamiche Maestro/Arma, la necessità di un addestramento che preveda la collaborazione e la sincronia non solo dal punto di vista del combattimento, ma anche da quello emotivo e caratteriale rimanda, in modo per altro superficiale, alle zanpakuto di Bleach. Sottolineo superficialmente, perchè sotto quest’aspetto Soul Eater mi è sempre parso più vicino a Shaman King (che potrebbe aver ispirato Kubo insieme alla lettura di Yu Yu Hakusho, non saprei dire con certezza non avendo approfondito questo autore ndRegola), che si ispira a tutto quel filone manga dove i protagonisti hanno “qualcosa” o “qualcuno” che combatte al posto loro per certi versi portato all’attenzione del pubblico dalla terza serie di Jojo.
Perchè leggere Soul Eater? Prima di tutto, sebbene Ohkubo abbia impiegato dieci anni a concludere il manga bisogna considerare che la serie completa sarà composta da venticinque volumi: qualcosa quindi che ci ha fatto aspettare parecchio, ma che nel complesso non è troppo lungo da leggere. Al momento pare vi siano problemi nella reperibilità di alcuni volumi, ma una pronta ristampa da parte della Panini dovrebbe poter porre rimedio. Il primo motivo è quello che ha attratto molti, lo stile di disegno, e la caratterizzazione in qualche modo manga-gotica data da questo strano e buffo mondo dall’autore è indubbiamente affascinante. Ho riscontrato, personalmente, in alcune parti del fumetto alcuni cali della qualità delle tavole, e di perdita del dettaglio che contraddistingueva i primi volumi, ma come mi piace dire, la cosa non mi ha disturbato più di tanto: probabilmente perchè il mio approccio a Soul Eater è sempre stato distaccato, qualcosa che leggevo di tanto in tanto quando non avevo altro per la testa… discorso a parte per l’anime, la cui realizzazione mi ha coinvolto maggiormente, soprattutto per la resa cromatica delle storie di Ohkubo. Purtroppo, anche seguendo l’anime presto o tardi bisogna riaffacciarsi al fumetto, perchè il primo tende a percorrere, da un certo punto, una strada tutta sua e distaccarsi dal lavoro originale, per terminare in modo più repentino rispetto alla versione cartacea: eppure, non ho mai avuto nulla da ridire allo scontro finale, e alla sua chiusura dell’anime di Soul Eater, che rispetta tutti gli stereotipi shonen del caso.
Il motivo che più mi ha tenuto stretto a questa serie non è (come al solito, direbbero alcuni) legato ad animazioni o character design.. sebbene alcuni aspetti di questo genere della serie mi siano stati graditi, ciò che ho più apprezzato è lo stile narrativo con cui l’autore ha strutturato i suoi climax. Ohkubo ha la tendenza a trascinare i suoi personaggi nelle tenebre, nella disperazione più buia, in un modo che non leggevo/vedevo da anni, le sensazioni che ho provato vedendo i vari personaggi combattere contro i loro malvagi e folli (e lo sono davvero!) antagonisti sono molto simili a quelle che mi aveva dato all’inizio di questo secolo un autore misconosciuto dalle nostre parti, Michiaki Watanabe con Hamlin no Violin Hiki (pubblicato fino al nono volume dalla Comic Art prima della bancarotta). Quella del crollo, della disperazione dei personaggi in uno shonen è una delle dinamiche narrative che tutti gli autori devono conoscere e saper utilizzare… oppure ignorare completamente, in base al taglio che si vuole dare alla storia. In Dragon Ball quando Goku affronta le sue origini non ha un ripensamento, nemmeno per un secondo il suo essere vacilla o si lascia prendere dal dubbio e dallo sconforto; nello shonen più moderno, per certi versi più maturo, la “discesa negli inferi” del protagonista e dei suoi compagni, soprattutto dal punto di vista emotivo, è solitamente un momento di grande attenzione da parte del lettore. In Soul Eater, questo “inferno” che i vari personaggi affrontano singolarmente e in coppia, e cercano di sormontare per proseguire il loro cammino è di origine interiore: il male esiste all’interno della loro anima come una forza che si stacca da loro, rischia di farli impazzire e trasformarli in folli caricature di loro stessi che si lasciano andare a omicidi istinti. Come dire, attraversando un tunnel, si scorge la luce proprio dopo il momento più buio: è solo alla fine di esso, quindi, che i personaggi possono rialzarsi, più forti di prima…
Il terzo motivo, per leggere Soul Eater è il personaggio di Black Star, una figura prettamente umoristica dotata di svariati e inaspettati risvolti seri, che si atteggia da protagonista pur non essendolo. Sempre intenzionato ad apparire, nonostante sia un maestro dell’assassinio silenzioso, perchè la scena, nella sua narcisistica visione, è lì ad attendere di brillare con lui. Un personaggio che non si arrende mai, testardo e stacanovista nei suoi allenamenti, che non gode del famoso “privilegio” dei protagonisti shonen, quello di essere destinati al successo. Perchè, la protagonista è Maka Albarn, e Soul Eater, come Medaka Box, ci costringe a venire a patti con l’identificazione nei confronti di un personaggio femminile. Ma di Maka, e di altri personaggi che popolano questo manga parleremo questo sabato, nella seconda parte della mia trattazione di Soul Eater… per ora vi lascio con Resonance, la prima sigla di apertura della serie animata, e una delle mie preferite degli ultimi anni.
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ichigo2 3 Luglio 2013 il 21:11
un anime finito letteralmente in un “pugno” di mosche
AmberRei 3 Luglio 2013 il 23:58
>>>Perch�, la protagonista � Maka Albarn, e Soul Eater, come Medaka Box, ci costringe a venire a patti con l�identificazione nei confronti di un personaggio femminile.
…sarete mica solo voi uomini a leggere gli shonen, eh.
Regola 4 Luglio 2013 il 09:14
Indubbiamente no (anzi, il pubblico femminile che legge shonen � molto aumentato negli ultimi anni e gli autori se ne sono resi conto, adeguandosi) ma se dovessimo fare “un’indagine di mercato” il pubblico sarebbe ancora prevalentemente maschile: casi come questo mi permettono di aggiungere alle mie riflessioni altre costatazioni (tra cui proprio il tuo appunto). La mia espressione sarebbe dunque da leggersi come introduzione a una tematica metanarrativa che adoro tantissimo… e di cui parler� questo sabato.
JesteR 4 Luglio 2013 il 21:32
Ehm… Scusate, sono arrivato solo fino al 4th volume al momento ma… Come anche il titolo dell’opera suggerisce, credo che il protagonista sia Suol Eater, non maka 😐
Regola 4 Luglio 2013 il 22:01
Sebbene entrambi i personaggi siano “protagonisti” e gli avvenimenti vengono descritti dal punto di vista di entrambi, ho notato (personalmente) come quello di maka fosse pi� presente in alcuni casi.
Credo si possano comunque adottare le tre visioni (maka protagonista, soul protagonista, entrambi protagonisti) senza perdersi niente di questa storia.
bluclaudino 5 Luglio 2013 il 09:47
Aggiungo due ragioni per leggerlo: comprare le due statue della Tsume uscite su Black Star e Maka, sono da sbavo indicibile 😀