Se alcuni si sono chiesti che fine hanno fatto Inguardabili, Riflettori e Jojopedia, quest’oggi finalmente posso rispondervi, questo mio progetto, iniziato all’incirca sei mesi fa, arriva finalmente a compimento. Se ricordate, a marzo scrissi una piccola guida in cinque parti di quello che è il genere shonen harem (ho anche pensato di ampliarla, ma la ritengo esaustiva così com’è), e mentre vi lavoravo pensavo che sarebbe stato possibile, interessante magari, farne una simile per il genere shonen nel senso più ampio del termine. Sono sei mesi che ci rifletto, che ci ripenso, che passo ore su ore a elucubrare su come impostare un mega approfondimento del genere, per poi tornare alla prima soluzione, quella più semplice, la prospettiva storica. Sei mesi in cui ho pensato di lasciar perdere spesso, perchè per la prima volta non mi sono sentito all’altezza della sfida.
In questo primo appuntamento, come sono solito fare, vorrei iniziare spiegandovi quello che ho intenzione di fare, perchè quello che ho in mente non è una semplice cronologia di un genere manga, ma un lungo monologo (in cui spero di coinvolgervi, e interessarvi) in cui l’analisi è fatta si di opere, ma anche di collegamenti e di confronti. Per fare questo, ovviamente, sono andato a rileggermi tante cose, e poichè mi sono reso conto che un progetto del genere consumerà molte delle mie forze, ho messo da parte tutto quello che avevo da dire nei miei altri angoli, con l’intenzione di focalizzarmi su questo lavoro: quanto durerà non lo so, la strada è pressochè tracciata, ma non ho calcolato il tempo necessario a percorrerla. Detto questo, considerate anche che visto l’enorme numero di titoli che andrò a considerare ci imbatteremo spesso in questioni legate alle preferenze personali, che mi sarà impossibile non far risaltare, ma che desidero non siano determinanti per la validità di questa mia analisi. Quando si parla di così tanti autori, di così tante opere diverse, il rischio di scivolare in analisi comparative è elevato e allettante: per fortuna non sono un nostalgico, considero i manga della mia “epoca” belli, ma allo stesso modo oggigiorno continuo a pensare che ci siano degli ottimi lavori, opere valide che meritano di essere lette. Non voglio essere cieco di fronte ai pregi e ai difetti che ogni opera e/o autore si trascinano (che mi piacciano o meno), tenendo comunque presente quella che è stata la mia esperienza di lettore negli anni. Come tale, penso di essere stato parecchio disincantato negli ultimi anni, ma di tanto in tanto è spuntato un manga che mi ha ridato speranza, portando il mio pessimismo a revisione. Questa strada, che ho intenzione di percorrere, ci porterà da Tezuka ai giorni nostri, e sebbene al centro dell’attenzione ci sarà il genere shonen, non mancheranno le divagazioni verso altri generi. Ora però è fondamentale rispondere a una domanda, cos’è uno shonen manga?
Shonen, da solo, è indicativo quanto un bollino verde per un programma televisivo, sebbene negli ultimi anni il solo uso di questa parola si sia piegato per indicare un genere di manga più specifico, la cui etichetta totale suonerebbe come shonen/action/sovrannaturale, con casuale comparsa di comico/sentimentale/sportivo. Perchè da solo, shonen indica un manga genericamente adatto a un adolescente, sebbene anche questa definizione sia ancora molto vaga: cambiando di casa editrice, infatti, sebbene tutte usino questa etichetta, leggendo i loro manga si possono notare differenze nel modo in cui vengono affrontate due tematiche in particolare, la morte e il sesso. Il modo di intendere lo shonen più noto, a cui il pubblico è più abituato, è quello Shueisha, le altre case editrici si differenziano proprio per come si rapportano con queste tematiche: per quanto possano variare le posizioni, nessuno può ignorare certi limiti che sembrano essere posti a protezione del lettore. Un minorenne in questo caso. A peggiorare la situazione, le case editrici hanno variato negli anni la lunghezza della catena che mettevano ai loro autori, ma questo lo vedremo meglio opera dopo opera. Per quanto riguarda le altre etichette, ho deciso di tenere fuori da questa trattazione il genere sportivo, che mi avrebbe complicato eccessivamente tutta la ricostruzione: non vogliatemene male, ma le mie idee sono già confuse a sufficienza! In questa serie di articoli, quindi, parleremo di quello che definirei shonen action.
Ed ora la cosa veramente paradossale: immaginate di essere completamente a digiuno in fatto di manga, e siete desiderosi di una spiegazione più chiara di cosa parlerò qui. Questa spiegazione suonerebbe più o meno come “parlerò di fumetti fatti in Giappone, situato quasi agli antipodi, creati per un pubblico di ragazzi mediamente tra i 14 e i 16 anni, che hanno come tema centrale l’avventura“. E questo è un concetto che voglio sottolineare per bene: sebbene gli shonen (action) vengano letti da tutti sono ancora pensati e prodotti per questo pubblico, con tutti i limiti che questo può comportare (morte e sessualità, dicevo) ma anche con un intatto, immenso potenziale d’impatto dovuto al fatto che per sognare bisogna necessariamente tornare un po’ bambini. Se così non fosse non ci sarebbero trentenni a leggere questi fumetti: il manga è davvero uno dei linguaggi che i sogni hanno scelto per manifestarsi. Ma questa è la visione dell’appassionato, del lettore o dell’entusiasta, perchè dietro questa facciata di sogni vi sono semplicemente questioni monetarie, e lavorative: quello del mangaka è da sempre, se volete un mio parere, uno dei lavori più brutti che un giapponese possa decidere di intraprendere. Mossi dalla passione si ritrovano intrappolati in un mondo dove se non pubblichi non vieni pagato, e per pubblicare devi darti da fare, lavorare tanto e dimenticarti di vacanze, famiglia e tante altre di queste cose belle. E siccome sono esseri umani anche loro, finisce che prima o poi non avranno voglia di lavorare, di disegnare, ma dovranno sforzarsi e usare ogni trucco a loro noto per arrivare alla fatidica consegna. Mi sono sempre chiesto quanto questi “sogni” fossero in bilico. Sono fragili, complessi da costruire e facilissimi da perdere, perchè per quanto un autore possa essere abile ed esperto il lettore non lo inganni, questi impara a riconoscere stile, tratto, e si rende immediatamente conto di quando qualcosa non va.
Vogliate a questo punto accettare una mia personale schematizzazione, che mi è servita soprattuto per decidere come impostare questo trattato. Ho preso tutti gli autori, da Tezuka ai giorni nostri, e li ho divisi in tre grossi gruppi che ho definito generazioni, avrei potuto creare più insiemi, ma tre è stato il numero perfetto; inoltre, sebbene il passaggio da una generazione all’altra sia spesso segnato da qualche evento storico particolare (e ne parlerò parecchio) la transizione non è netta, ma assistiamo a un periodo in cui le correnti di due generazioni si mischiano, finiscono di influenzarsi come maestro e allievo prima di lasciarsi definitivamente. Nella prima generazione ho collocato i pionieri, i primi autori, che hanno affrontato questioni di natura soprattutto pratiche e non avevano alle spalle qualcuno che potesse indicargli la strada da intraprendere; in questo gruppo inserisco autori come Tezuka, Ishinomori, Mizuki, Go Nagai, Matsumoto e il duo Fujiko F. Fujio. Nella seconda generazione ho inserito quegli autori, i quali potrebbero risultarvi molto più familiari, che hanno contribuito all’espansione e alla crescita del manga come prodotto di consumo, utilizzando e ampliando gli insegnamenti della prima generazione; in pratica, costruendo il primo piano di un’abitazione su delle solide fondamenta. La seconda generazione ha operato dall’inizio degli anni ’80 fino alla metà degli anni ’90, anche se la transizione di passaggio non è stata così netta, e autori della seconda generazione hanno continuato a sottolineare la loro importanza fino al nuovo millennio. Ma nella fase di transizione tra seconda e terza generazione succedono tantissime cose interessanti, il genere shonen è stato fortificato, modificato, variato, da una necessità di ampliare il suo metalinguaggio: sarà questa, quando ci arriveremo, una delle principali tematiche tra quelle che volevo affrontare in questa sede. Se quindi nella seconda generazione inserisco autori come Toriyama, Hara/Buronson, Fujita, Araki e Kurumada, nella terza generazione vedo come maggiori esponenenti Oda, Kishimoto, Kubo, Mashima e Hata. (Alcuni potrebbero dirmi di inserire Togashi, ma a tempo debito parlerò in modo molto esaustivo di questo autore, date le sue peculiari caratteristiche.) Per poi, quando arriverò alla conclusione e ai giorni nostri, trattare della quarta generazione che comincia timidamente a far sentire la sua presenza.
Ogni generazione ha avuto le sue difficoltà, i suoi meriti e demeriti: non condivido l’opinione di alcuni secondo cui lavori di una certa epoca sono migliori rispetto ad altri, ritengo, semplicemente, che il tipo di esperienza e coinvolgimento che i manga possono dare cambi in base al periodo storico in cui esso viene pubblicato. Per quanto mi riguarda si tratta di un’esperienza diversa, nè migliore nè peggiore, in cui gusto e preferenze personali non contano quanto la capacità di comprendere un linguaggio specifico, e provare soddisfazione nella propria personale sintonia con questo. I manga degli anni ’70 sono disegnati e pensati in modo diverso rispetto a quelli degli anni ’90, in pratica, e non è corretto approcciarsi ad essi con mentalità o aspettative del decennio sbagliato. Se non fossi una persona prolissa, avrei detto che bisogna sapere contestualizzare (dove contestualizzare non significa necessariamente apprezzare, quando una cosa non piace, non piace!). A questo punto, in questo primo appuntamento, vorrei parlare brevemente della prima generazione prima di cominciare a trattare manga e autori della seconda. Sono conscio che questi autori meritano molto più spazio, ma non vorrei finire per scrivere una serie di approfondimenti sulle sole origini del genere shonen. Le origini bisogna tenerle presente, è qualcosa da cui partire, ma non è in questo caso quello su cui voglio soffermarmi troppo a lungo.
Il grande merito di Tezuka non è tanto quello di aver scritto i manga più belli della storia (sostenerlo sarebbe come cadere in contraddizione con quanto detto poco fa), semmai a lui si deve il fatto che oggi in Giappone si disegnano manga. È il caso di dire che la natura stessa del fumetto giapponese è una diretta conseguenza del lavoro e delle scelte fatte da Osamu Tezuka; alcune delle prassi da lui introdotte sono ancora utilizzate dagli autori moderni, sebbene abbiano avuto mezzo secolo di tempo per raffinarsi. Basti prendere la stessa idea della Tokiwa Mansion, un’abitazione dove Tezuka si ritrovava con i suoi collaboratori, assistenti, amici, per lavorare a tempo pieno su un manga: la pratica è ancora in uso oggi quando le scadenze si fanno pressanti, gli autori ospitano i loro assistenti per la notte, poichè abitare nella stessa casa evita sicuramente perdite di tempo. Tezuka non è stato solo il primo autore manga, ma anche il primo, ispirandosi alle pellicole di Disney, a produrre anime; autore prolifico, ha pubblicato più di 700 volumi nell’arco della sua carriera, anche se la sua opera più grande e complessa, il testamento che voleva lasciare ai suoi successori, risulta incompiuta: quando Tezuka morì nel 1989 non aveva ancora terminato La Fenice. Per non citare poi tutti piccoli dettagli dei manga che introdotti da Tezuka ancora vengono utilizzati, come l’ahoge, il capello ribelle che identifica i personaggi un po’ sbadati, fino a quella che è una caratteristica fondamentale del genere manga, detto il “Metodo Tezuka” che consisteva sostanzialmente nel prendere spunto da altre opere di letteratura per modellare e creare i propri personaggi o le proprie storie. Autori che si citano a vicenda, che citano libri e film che hanno amato, è una delle più significative eredità lasciate da Tezuka. Sebbene oggigiorno il numero di persone che leggono le opere di Tezuka sono drasticamente diminuite, i suoi successori, coloro che disegnano manga, non l’hanno dimenticato, e praticamente tutti lo citano tra gli autori che considerano più importanti, significativi e fonte d’ispirazione.
I pionieri sono sempre dei tuttologi: Tezuka ha spaziato tantissimo producendo opere di svariati generi, questo perchè non c’era nessun altro che avesse percorso tali strade prima di lui. Altri autori della prima generazione, invece, sono stati per sommi capi molto più settoriali nel loro lavoro: Ishinomori, allievo e assistente di Tezuka, ha prodotto principalmente opere di fantascienza, ma è anche il rinomato creatore di Kamen Raider, e con Cyborg 009 il padre concettuale delle opere a tema super-eroistico; tra le sue opere compare anche una a tema majokko (Sarutobi Ecchab). Il genere super-eroistico non è mai morto nell’immaginario giapponese, si è solo ampliato e modificato in base alle preferenze dei lettori di ogni epoca, ma in qualche modo non bisogna dimenticare che i shonen manga (action) tendono quasi tutti ad avere come protagonisti persone speciali, con una missione di vitale importanza che solo loro possono compiere, e per fare questo sono in possesso di poteri che possono avere origine da svariate fonti. Cyborg 009 di Ishinomori è probabilmente il primo manga della storia a non essere stato concluso per volere dei lettori: l’autore, intenzionato a terminare le avventure di questi nove super-eroi venne convinto a lasciare aperto il finale, in modo da potervi tornare in qualunque momento qualora ne avesse desiderio. Mi è sempre piaciuto pensare che il finale aperto, tipicamente manga, sia stato lasciato in eredità proprio da Ishinomori.
Sempre parallelamente, altri due grandi lavoravano al genere fantascientifico, distaccandosi però dalla dinamica super-eroistica, e caldeggiando quella dell’anti-eroe. Non che le opere di Tezuka e Ishinomori siano definibili solari e positive, ma di sicuro non raggiungono la teatrale oscurità di alcuni dei lavori principali di Go Nagai e Matsumoto. Sintetizzare in poche parole la mastodontica opera di Go Nagai è impossibile, essendo da sempre uno degli autori più attivi dagli anni ’60 a oggi, ma il suo contributo al genere manga non si limita ai robottoni vari (Mazinga, Jeeg, Grendizer e così via) e alle oscure vicende di Devilman: i suoi cattivi sono sempre puramente malvagi, e le sue opere denudano senza nessuna cautela da parte del narratore tutte le brutture del genere umano, come nessun altro aveva fatto prima di allora. Go Nagai è un autore che non si è mai preoccupato della domanda “osare o non osare?” e si è sempre lanciato a capofitto nel suo lavoro cercando di tirarne fuori il meglio possibile, ed è probabilmente questo uno dei motivi per cui tra i grandi della prima generazione è ancora ricordato, acclamato e conosciuto, indipendentemente dal fatto che pare non voglia ritirarsi e godersi la pensione. Di tutt’altra pasta era invece Leiji Matsumoto, che verrà per sempre ricordato per due opere di fantascienza che hanno fatto sognare tanti giovani: Capitan Harlock e Galaxy Express 999. Distaccandosi dalle dinamiche super-eroistiche, questi due manga, la cui pubblicazione è iniziata rispettivamente nel 1976 e nel 1977 gettano fondamentalmente le basi per uno stile più maturo, complesso e romantico di fantascienza. Qualcosa che ritengo prenderà forma nella composizione del metauniverso di Gundam qualche anno dopo (1979, dal lavoro di Yoshiyuki Tomino insieme al gruppo collettivo definito come Hajime Yatate; questo gruppo è coinvolto anche nella produzione di Cowboy Bebop.)
Non posso non citare poi Asao Takamori (Rocky Joe nel 1968), ma devo fermarmi qui, perchè rischierei di spostarmi gradualmente sul genere spokon. Ma due parole sul duo Fujiko F. Fujio che ha creato Doraemon devo spenderle: sebbene non si tratti di uno shonen per definizione, ma di un kodomo (quindi un prodotto proprio per bambini), la sua importanza non è da sottovalutare poichè tutti i bambini giapponesi che una volta leggevano e oggi producono manga sono in qualche modo cresciuti venendo in contatto con le avventure di Nobita e del suo amico gatto robot Doraemon. Opera incompiuta, per la rottura del duo e la morte di uno dei due autori nel 1996, Doraemon è probabilmente la mascotte più nota al mondo tra quelle rappresentative del Giappone (al punto che sarà probabilmente anche la mascotte delle Olimpiadi che si terranno nella terra del Sol Levante tra qualche anno). La stessa struttura del manga e dell’anime, incentrato su una sequenza di vicende autoconclusive animate dagli infiniti gadget in possesso di Doraemon rappresenta in qualche modo la semplificazione di come i mangaka hanno per anni ritenuto si dovesse sceneggiare un manga: come una storia fatta di tante piccole storie, unite tutte dallo un filo conduttore in comune. Quello che tanti hanno fatto è solo ampliare, arricchire e complicare questa idea, fino al punto in cui oggi non si parla praticamente più di storie autoconclusive, ma di veri e propri archi narrativi.
Credo di essermi dilungato troppo con questa mia introduzione: non chiedetemi quando continuerò, se fosse per me programmerei la prossima parte già domani… non aspettatevi comunque una periodicità rigida, poichè sono intenzionato, come dicevo, a lavorarci usando molte delle mie energie dedicandoci quasi la maggior parte del tempo che avrò a disposizione nei prossimi mesi. Restate quindi sintonizzati su Komixjam, sul forum (è mia intenzione promuovere questa mia iniziativa su blog e forum) o sul nostro blog, perchè la prima vera parte potrebbe arrivare già nei prossimi giorni. Tutto comincerà con un manga non troppo conosciuto al giorno d’oggi, la cui serializzazione iniziò nel 1983 sulle pagine di Weekly Shonen Jump: sto parlando di Wingman di Masakazu Katsura.
Musashi 4 Dicembre 2013 il 21:10
Vivissimi complimenti!
Non solo una conoscenza vastissima del fenomeno manga ma anche una scrittura accattivante che consentir� anche a gli ignorantoni come il sottoscritto di capire qualcosa in pi� di quel mondo straordinario ma complicatissimo che � il mondo del manga
Aspetto la prossima uscita, davvero interessante
ningen 5 Dicembre 2013 il 16:30
Gran bell’articolo, veramente interessante.
Devo ammettere che degli autori della prima generazione non ho letto molto (anzi non ho letto nulla, anche se dell’anime di goldrake non mi perdevo una puntata), ma mi piacerebbe rimediare un giorno…
Sono un p� pi� affine con gli autori della seconda generazione e della terza e nemmeno con tutti a dire il vero. Alcuni ad esempio li conosco indirettamente tramite gli anime.
Curiosit� regola, quali autori inseriresti nella quarta generazione?
Una divisione simile � possibile farla anche per i seinen o secondo te, quelli sono un caso a parte?
Regola 5 Dicembre 2013 il 17:52
Per la quarta generazione, cos� su due piedi inserirei autori come Hajime Isayama (Shingeki no Kyojin), Matsui Yuusei (Assassination Classroom), Ryuuhei Tamura (Beelzebub) e Shinobu Ohtaka (Magi).
Secondo me una struttura del genere per i seinen � leggermente pi� difficile da organizzare per svariate ragioni: la periodicit� di tali manga, spesso mensili, comporta anche un modo diverso degli autori di lavorare e molto meno sistematico rispetto a quello shonen; questo fa si che a livello di struttura e messaggio sia pi� difficile trovare un filo conduttore. Per esempio, prendendo seinen come berserk, battle royale e e 20th century boys cito titoli noti e apprezzati, ma allo stesso tempo sottolineo la maggiore eterogeneit� che si riscontra in questo genere. I motivi sono legati a logiche di mercato: il pubblico vuole molti shonen, pertanto gli editori e gli autori hanno lavorato molto pi� sul metalinguaggio shonen che su quello seinen, anche perch� era necessario, come dico nell’articolo, fare in modo che il lettore minorenne fosse tutelato. Con i seinen questa necessit� viene molto meno e quindi c’� pi� spazio per l’estro personale.
Un discorso del genere, comunque, potrebbe essere approntato usando come filone conduttore le tematiche horror/thriller, e il loro evolversi negli anni.
ningen 5 Dicembre 2013 il 20:08
Sono d’accordo sull’eterogeneit� dei manga seinen. Credo che il “filone” seinen sia pi� “sperimentale”, forse anche per via della maggiore libert� concessa agli autori.
Per gli shonen invece, noto che spesso risulta un p� difficile rinunciare a certi clich� tipici del genere, per lo meno per quanto riguarda lo shonen action. Magari questo � dovuto anche alla fascia d’et� a cui � rivolto, come hai gi� detto nell’articolo ed ad un tipo di “censura”, un p� pi� “invadente”. Certo ci sono anche le eccezioni, non faccio di tutta l’erba un fascio.
ichigo2 5 Dicembre 2013 il 20:47
Non vedo l’ora di leggermi la parte di Nobuhiro Watsuki 😀
SquallGTO 10 Dicembre 2013 il 23:40
Secondo me, tra quelli che hanno definito i manga anni 80 c’� anche Tsukasa Hojo, autore di City Hunter e Cat’s Eye, per il resto sono d’accordo con tutto quello che dici e non vedo l’ora di leggere il resto.
Regola 11 Dicembre 2013 il 00:00
D’accordissimo. (A citare opere e autori non si finirebbe mai, per quello ho scelto di limitarmi soprattutto ai manga shonen action.)