Shonen manga, una prospettiva storica (1998/2)

di Regola 6

 

Bentrovati con il nuovo appuntamento della prospettiva storica: anche quest’oggi faremo un passo avanti in questa ricostruzione del genere shonen (action)… un unico, semplice, ma importante passo, perchè il titolo di cui parliamo oggi, come saprete o avrete notato dalla prima immagine, è Shaman King, di Hiroyuki Takei, pubblicato su Weekly Shonen Jump tra il 1998 e il 2004:

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Un manga, questo, che per svariate ragioni ho sempre considerato uno dei prodotti più affascinanti tra quelli che la Shueisha ha avuto modo di produrre, per la ricchezza delle tematiche, il ritmo e lo stile narrativo di un autore coinvolgente e accattivante, per quanto resti sempre molto semplice e lineare. Takei esce dalle scuderie Watsuki per il quale lavorò come assistente, dove conobbe anche Eiichiro Oda. Ho già avuto modo di affermare come fra il 1994 e il 1998 questo trio di autori, che hanno lavorato per un certo periodo nello stesso studio, abbiano in qualche modo dato indicazioni e direzione allo sviluppo del metalinguaggio shonen moderno. Manga, quello di Takei, conosciuto in Italia anche per l’adattamento della serie animata, sebbene l’aspetto più famoso sia la sigla interpretata da Masini.

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Takei è un autore che ha parlato molto del suo modo di lavorare con SK: era intenzionato a produrre qualcosa che fosse originale al punto tale da tentare sentieri mai battuti fino a quel momento. E se volete la mia opinione, c’è riuscito ampiamente. Forse proprio per questo suo essere alla ricerca di soluzioni nuove, dopo la produzione di Shaman King ha avuto difficoltà a ritornare sulla cresta dell’onda: oggi pubblica Jumbor su Ultra Jump, testimoniando chiaramente il desiderio di tenersi fuori dalla terribile lotta per la sopravvivenza nel mondo shonen (Ultra pubblica svariati seinen, come Jojolion e Ninku Second Stage) insieme a Mikami Hiromasa in veste di sceneggiatore; collabora insieme a un inossidabile Stan Lee nella produzione di Karakuridouji Ultimo, manga che passerà alla storia solo per questa stramba combinazione. Fatto sta che Takei non si è fermato, come dicevo, continua forse con meno visibilità, ma il suo vaggio alla ricerca dell’originalità non è ancora terminato. Problema, quello dell’originalità, che negli ultimi anni sta diventando sempre più centrale, e il vero ostacolo che molti autori devono superare per entrare nell’élite degli stipendiati. Pensare che già in quegli anni il problema dell’originalità fosse percepito fa rivedere completamente alcune attuali diatribe, che coinvolgono soprattutto autori della quarta generazione (vi ricordate la classificazione operata nel primo articolo?). Ma non divaghiamo troppo, torneremo prossimamente su questo problema.

Takei stesso afferma che, per creare una storia interessante bisogna avere dei personaggi interessanti: mi pare sensato seguire il percorso che ha tracciato e partire da loro, iniziando proprio con Yoh Asakura, uno dei protagonisti più particolari che abbia mai avuto modo di leggere in uno shonen manga. Ho avuto modo di parlare, in altri ambiti, degli elementi e delle caratteristiche che contraddistinguono i protagonisti shonen manga: si tratta di una tipologia di personaggi che vengono generati seguendo dei paletti molto ben definiti, paletti che spesso vincolano anche il loro sviluppo. Devono infatti avere un nome facile da ricordare, una forte motivazione che li porta ad agire, allo stesso tempo scopriranno nel corso della storia di essere portatori di un grande destino, o di un cambiamento, e alcuni aspetti del loro passato sono spesso lasciati oscuri e misteriosi allo scopo di creare interesse nella vicenda. Se non sono invicibili, risultano sempre vittoriosi alla fine, e per quanto il loro processo di crescita possa essere di una lunghezza variabile in base alla storia e le scelte dell’autore, alla fine diventano in qualche modo difensori dei deboli e incapaci di tollerare le ingiustizie. Le loro azioni sono sempre a fin di bene, a volte possono non esserlo apertamente, ma risulteranno sempre in qualche modo propedeutiche al lieto fine. Queste e tante altre sono le caratteristiche dei protagonisti, e Yoh non fa eccezione combinandone svariate… eppure, a differenza di molti altri protagonisti manga il rapporto di Yoh con il suo obiettivo è profondamente maturo già dai primi capitoli; proseguendo la lettura si incontrano momenti in SK in cui Yoh è talmente padrone di sè stesso e della situazione da lasciare indietro qualunque altro personaggio. Sono quei momenti in cui appare e risolve la situazione, sempre con il suo sorriso caratteristico, confortante eppure carico di malinconia. Credo che sia una tipologia diversa di eroe, a momenti più drammatica e meno positiva rispetto a quella più comune, quasi tipologia a sè stante come Jonathan Joestar (Takei ha affermato più volte di apprezzare particolarmente il lavoro di Araki) o Kenshin Himura.

Takei ha sfornato svariati personaggi in SK ed è riuscito a fare in modo che fossero loro stessi in qualunque situazione, facendoli crescere nei momenti opportuni, dedicando loro lo spazio di cui Yoh non ha avuto bisogno: Tao, Lyserg, Horo Horo e Chocolove, che insieme a Yoh sono la punta di diamante della formazione dei personaggi di SK, vengono ampiamente approfonditi ma mai snaturati. Sempre fedeli a se stessi ma mai immobili. Ci sono momenti in cui l’autore riesce addirittura a lavorare sulla scena dando al lettore impressioni che si riveleranno errate, giocando proprio con le circostanze in cui i personaggi si incontrano, e soprattutto, si scontrano (perchè, come crede fermamente Yoh, solo le persone di buon cuore possono vedere gli spiriti). Faust e Chocolove, due figure che inizialmente potrebbero non attirare troppo l’interesse del lettore, sono indubbiamente tra le meglio raccontate, in barba alle classifiche di gradimento (recentemente in Italia è stato pubblicato il volume prequel SK Zero, in cui Chocolove viene preso in giro per il fatto di non aver mai brillato in quelle classifiche). Una piccola pecca del manga può essere, per certi versi, la presenza di alcuni power up che a un certo punto si susseguono a ritmo serrato, tant’è che Takei sorvola l’allenamento dei personaggi avendo già spiegato (in precedenza) come la forza dello spirito degli sciamani aumenta. Ciononostante SK non è un manga dove la risoluzione di ogni situazione deve necessariamente passare attraverso l’uso di forza bruta, e l’intreccio di motivazioni e imprevisti è tale da tenere la vicenda sempre in equilibrio sull’orlo di un baratro; inoltre, sebbene i 300 capitoli del manga siano perlopiù la narrazione di un torneo (per eleggere il Re degli Sciamani, da cui il titolo) questo classico dello shonen è chiaramente lasciato in secondo piano, e Takei passa più tempo a raccontare quello che avviene tra gli scontri. D’altronde, quando la posta in gioco è molto alta, non è auspicabile restare sempre seduti e rispettare con cura tutte le regole.

SK mi è sempre sembrato essere incentrato su tematiche ecologiche: i personaggi sono sempre immersi nella natura, lo stesso fatto che siano in grado di comunicare con spiriti e spettri li mette direttamente in contatto con le componenti più metafisiche del creato, ciononostante, in quanto mosso dallo slogan “semplice è bello” Takei non è mai pesante quando diventa filosofico… neppure nelle battute finali (dopo la revisione del 2008), dove continua a fare riferimento a elementi semplici indipendentemente dal crescendo che investe la vicenda. Nella sua ricerca dell’originalità, poi, Takei è andato a richiamare e sfruttare culture e filosofie sparse per tutto il globo: dagli onmyoji tipicamente giapponesi fino agli indiani d’America e i loro sciamani.. molte nazioni o filosofie esoteriche hanno un rappresentante in questo manga. Sebbene tutti i personaggi facciano appello alle stesse energie per sfruttare i loro poteri, è proprio dal loro background culturale che risultano ampiamente caratterizzati, sia nell’apparenza che nel modo di combattere. Tuttavia, ciò che a mio avviso rende assolutamente particolare questo manga è la presenza, nei combattimenti e nello sviluppo dei personaggi, di elementi presi direttamente dal genere mecha di stampo eroistico, senza che SK diventi per questo un manga su dei robottoni.

È uno di quegli aspetti più affascinanti, e difficili da descrivere, perchè tante volte è qualcosa trasmesso implicitamente, mai apertamente affermato eppure sempre presente, non in quelle che sono le dimensioni degli spiriti, ma proprio nel modo di procedere e di raccontare la storia. Come quando Jeeg tira fuori un gadget nuovo perchè il precedente si è rivelato inutile, le manifestazioni fisiche dei poteri dei personaggi (spesso spezzate proprio come la corazza di un robottone) si evolvono e diventano sempre più elaborate adattandosi alle nuove situazioni e alle nuove sfide: nessuna forma è poi eternamente utile, sono sempre in agguato nemici o sfide che rendono tutte le abilità in possesso dei personaggi obsolete. La meccanica stessa della combinazione e della possessione sembra la perfetta sintesi delle dinamiche mecha e di quelle shonen inaugurate da Araki con gli Stand (un “qualcosa” che combatte al posto tuo); d’altronde le caratteristiche stesse dei protagonisti shonen, di cui parlo spesso e troppo, sono state ampiamente influenzate da anime e manga a tema robotico; anche la tematica del gruppo è stata inizialmente sviluppata in ambito robottoni e Super Sentai (provate a confrontare Mazinga e Voltron, per esempio) e Takei, dopo Kurumada, è stato un autore a presentare e sviluppare il quintetto dominante in modo “moderno“: insieme ai suoi compagni Yoh resta il protagonista, ma dovranno essere tutti sullo stesso piano perchè i loro poteri possano combinarsi. Si potrebbe dire che Yoh è soltanto il primo tra i pari, interpretando in un certo modo il finale che Takei ha dato alla storia. Tutto queste dinamiche, insieme a quelle più classiche e quelle già elencate dovuto proprio allo stile dell’autore, rendono SK una lettura stimolante, interessante, ricca di materiale che permette di confrontarsi con altre opere. In esso non manca niente, c’è pure il nonno da cui l’eroe eredita la sua missione e le armi per combattere.

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Eppure non c’è rosa senza spine. Come molti sapranno già, a un certo punto Takei chiude frettolosamente il suo manga, accorciandolo probabilmente di una cinquantina di capitoli (è una stima personale) per ragioni che possiamo intuire. Nel 2008, per l’edizione Kanzeban, è tornato a lavorare su questo manga producendo quelli che sono gli ultimi sedici capitoli, che concludono “degnamente” la vicenda.. Takei quasi si prende in giro all’inizio del 285esimo capitolo facendo risvegliare Manta da un incubo. Le cause che portano alla chiusura di un manga sono ben note ai più: spesso si tratta di cali di gradimento, in altri casi la precisa volontà (o impossibilità) da parte dell’autore di continuare. Probabilmente nel caso di SK si tratta di un misto delle due, tuttavia non mi riesce di individuare con precisione quanto ogni aspetto sia stato significativo, poichè come una chiusura così netta è sospetta proprio in virtù che il manga era alle battute finali, bisogna anche considerare che nel corso del suo lavoro non sono stati pochi i colpi che Takei ha dovuto incassare, dalla conclusione prematura dell’anime, con un finale che probabilmente non deve aver gradito, alla censura dei testicoli di Ponchi e Conchi. Non riesco a togliermi dalla testa l’idea che a mettere il pannolone a questi due spiriti sia stata qualche critica presentata da una congrega di genitori incavolati… associazioni che da sempre sfogliano Jump in cerca di cose da denunciare (e se non le trovano se le inventano.. fatto sta che queste associazioni poco tollerano i genitali maschili, come testimoniano alcune critiche rivolte a Beelzebub). Sarà che Takei stesso scherza su quei pannoloni, “dimenticandosi” di metterli quando disegna qualche flashback in cui la coppia di yokai appare. Non bisogna comunque dimenticare che in Jump è difficile sopravvivere, e in quegli anni cominciava ad essere veramente più dura rispetto ai decenni precedenti; opere complesse, particolari e poco ortodosse devono lottare il doppio per affermarsi, e Takei non ha la nomea di essere così aggressivo da rovinare il suo ritmo narrativo per inserire fanservice e colpi di scena studiati esclusivamente per attirare voti. Ci sono momenti in cui leggere SK mette in pace con se stessi, è una lettura che sa essere eccitante e divertente ma anche straordinariamente rilassante.

Qualcuno potrebbe vedere più di quanto l’autore ha voluto lasciare intendere in alcuni dettagli… è impossibile non notare alcuni riferimenti a un certo tipo di musica e di fenomeni culturali (come quelli legati al consumo della Cannabis sativa) che sembrano essere volutamente inseriti, ma forzare il messaggio mi sembrerebbe inappropriato: Takei stesso si è sempre preoccupato di consigliare la sobrietà nelle tavole in cui alcuni personaggi si ritrovavano a bere alcolici (cosa che altri autori non hanno mai fatto). Forzatura, anche considerando alcune caratteristiche socio-culturali giapponesi, e il fatto che, pubblicando su una rivista per ragazzi, i contenuti presentati dagli autori sono continuamente revisionati e valutati nella loro dimensione “morale“. Chiudo questa piccola parentesi quasi off-topic, ma era dovuta in seguito ad alcune riflessioni nate anni fa dalla lettura del manga.

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Faticosamente mi avvicino al cambio di millennio. Questo articolo è stato partorito a fatica, in modo più frammentato di quello che si potrebbe pensare (chiedo scusa a tutti per le mie isterie): nonostante sapessi benissimo cosa dire cominciavo a fare i conti con i limiti del mio linguaggio, e dei messaggi presenti nei manga che devo presentare, che tante volte si somigliano dandomi l’impressione che i miei discorsi siano un tantino ripetitivi. L’unico conforto è che, dopo il 2004, tutto diventerà più semplice. Per le conclusioni vi ho abituato a un certo tipo di anticipazione… questa volta mi vedo costretto a procedere in maniera diversa, vista la natura della prossima parte: dopo una breve introduzione alle storie targate Lodoss War mi sentirò costretto a parlare di quello che, magari esagerando un po’, considero da sempre come il mio arci-nemico: Hiro Mashima, che nel 1999 inizierà Rave – The Groove Adventure. Non ho problemi a trattare i suoi manga, sono perfettamente in grado di parlare di qualcosa che non mi piace senza per questo perdere di vista il lettore, e l’obiettivo della trattazione… eppure, come avrete notato, sono da sempre un blogger dalla parte degli autori: adoro leggere di loro, le loro interviste e dichiarazioni sono il mio pane quotidiano. Ho sempre pensato che per capire veramente un manga si debba conoscere in qualche modo chi lo ha creato (e soprattutto, non idolatrare, perchè l’idealizzazione è la chiave che apre le porte alla delusione). Ma Hiro Mashima, per quanto mi sforzi, per quanto riconosca di dover essere meno “soggettivo“, è una figura professionale che non mi riesce di apprezzare in nessuno dei suoi aspetti. Ed è per questo che, sebbene ho sempre avuto in mente cosa scrivere in ogni appuntamento di questa rubrica, non ho ancora la più pallida idea di come verrà fuori il prossimo appuntamento.

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Commenti (6)

  1. Bello articolo come sempre.
    Comunque, se non ne sei a conoscenza, Takei ha da poco iniziato il sequel Shaman King Flowers.

    1. Si, era mia intenzione recuperarlo (devo essermene dimenticato durante la stesura perch� ancora non l’ho letto..)

  2. La pubblicazione di flower in italia dovrebbe iniziare a breve, peraltro.

    La cosa che mi ha colpito maggiormente in SK �, in realt�, l’assenza di personaggi veramente buoni e veramente cattivi, escludendo pochissimi personaggi (liquidati in brevi sequenze, generalmente).

    Anche il peggiore degli avversari, nella lettura, si mostrer� sempre con una personalit� e delle motivazioni che fanno rivalutarne la cattiveria

    1. Flowers inizier� ad Aprile, a Marzo uscir� il volume unico SK Mentalit�. Concordo pienamente con quanto dici, trall’altro.

  3. Ah, Shaman King, che manga delizioso, (che purtroppo non ho ancora finito di leggere, (su carta), per la mancanza pi� completa di volumi nelle mie vicinanze).

    Concordo subito con te per quanto riguarda una delle particolarit� di SH: un rimando al genere Mecha, senza che sia un manga Mecha. In generale, amo questa “scelta” di un autore, (ossia avatar fatti di qualsivoglia energia/spirito/incantesimo per combattere o simili), come ho adorato il Susano’o degli Uchiha, il bankai di Komamura in Bleach; e tanti altri…

    In breve, SH � una lettura piacevole, scorrevole, che mette in risalto i rapporti interpersonali fra i vari protagonisti, offre buoni spunti in termini di combattimenti e pi� in generale di idee, (mi ha “ispirato molto”, per quanto mi riguarda).

    Unica pecca, (ma vedo che l’hai notato pure tu), i power-up che si sono susseguiti per un po’ di tempo.

  4. sar� perch� ho visto solo l’anime italiano..ma pi� che originale a me � sembrato pi� stereotipato….non solo per i powerup, ma per esempio quasi tutti i nemici diventano amici di Yoh, Yoh � quello che risolve la situazione quando gli altri non ci riescono pi� che il contrario, Anna � la classica coprotagonista femminile dei manga(le mancano solo quattro taglie di reggiseno!!)
    e nonostante questo o forse proprio per questo mi � piaciuto un sacco e mi sono piaciute in particolare le parti umoristiche,basate sulle relazioni fra i personaggi!

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