Bentrovati qui con la prospettiva storica dello shonen (action) manga, probabilmente la mia più delirante follia da quando scrivo su Komixjam… due anni da Dicembre scorso… ma partiamo subito perchè oggi c’è tanta carne al fuoco. Negli anni ’90, come penso sia oramai chiaro sono cambiate tante cose, non solo il modo di fare manga ma anche i prodotti a loro correlati, come anime, videogiochi, romanzi, che stavano diventando improvvisamente al centro di interessi consumistici ancora oggi molto forti. Soprattutto il mercato dell’animazione aveva iniziato a muoversi e cercare una sua nuova identità tra la fine degli anni ’80 e la prima metà del decennio successivo: si consolidò il cosiddetto mercato del noleggio. In quegli anni vennero prodotti parecchi dei peggiori OAV che mai hanno visto luce in questa Terra (roba da far venire il mal di testa, credetemi), che a volte venivano adattati per la carta. Una delle serie nate in questo modo che mi preme di ricordare è Tenchi Muyo!
Il manga di Tenchi Muyo! (Non abbiamo bisogno di Tenchi!) è stato pubblicato tra il 1994 e il 2000 sulla rivista defunta Comic Dragon Junior della Kadokawa Shoten (rivista che si fonde poi con un’altra e da vita a Monthly Dragon Age all’inizio di questo millennio) illustrato da Hitoshi Okuda con la supervisione di Masaki Kajishima e Kuroda Yousuke alla sceneggiatura, coppia che aveva lavorato anche ai primi OAV del 1992. TM, va ricordato soprattutto come una di quelle serie che più di tutte ha infervorato una porzione della fandom in quel decennio, che ha dato vita a una produzione di doujinshi non indifferente: questo e altri elementi rendono tale franchise uno di quelli ad aver ispirato, guidato, e diffuso la passione per tutti quegli shonen che oltre a elementi fantasy e/o fantascientifici vengono completati dalla presenza di dinamiche harem. L’autore, dopo aver terminato il primo corso narrativo ne ha curato un secondo tra il 2000 e il 2005 della lunghezza di 10 volumi, che personalmente non ho letto, pertanto la mia conoscenza si arresta ai primi 12 volumi della serie, pubblicata in Italia da Panini con scarso successo quando i fumetti si compravano ancora in Lire.
TM è un manga che fonde, in maniera abbastanza pulita elementi presi dal mondo fantasy e da quello fantascientifico: è un universo dove magia e tecnologia convivono e danno vita a manifestazioni e combinazioni a tratti esclusive. Alla base della storia vi è il triangolo sentimentale tra Tenchi, un semplice studente giapponese che si rivelerà essere molto più di questo, la principessa aliena Ayeka Jurai e la piratessa intergalattica Ryoko, anche se molti saranno i personaggi ad intromettersi tra i tre litiganti, attirando le attenzioni del protagonista che si limiterà a mantenere buoni rapporti con tutte. Tenchi è sempre pronto a scendere in campo per combattere contro qualunque nemico appaia, spesso alieni anarchici, criminali o nemici di vecchia data della famiglia reale Jurai. E combatte con quella che sembra essere una vera e proprio spada laser (la Tenchi-ken, la Spada della Terra e dei Cieli), addestrato dal nonno all’arte del kendo… proprio come un cavaliere jedi. Fatto di rocamboleschi combattimenti, intrighi spaziali e scene di vita quotidiana nell’abitazione di Tenchi, che diventa un vero e proprio porto franco per ogni alieno (donna) di passaggio sulla Terra, TM è un manga semplice e breve, senza troppe pretese e un po’ confusionario ma che non sono riuscito a tenere fuori da questa serie di approfondimenti per il suo valore storico.
“È più oscuro del crepuscolo. È più rosso del sangue. In nome della pace e della giustizia io voglio fare appello a tutti i poteri remoti dell’oscurità perchè mi aiutino a distruggere i miei nemici, e tutti coloro che saranno tanto sciocchi da ostacolarmi. Fulmine rosso del Dragon Slave!”
Quanti di voi hanno avuto un brivido dietro la schiena? Perchè il 1995 è l’anno dell’uscita del primo manga di The Slayers, come pure della prima serie animata (“Un incantesimo dischiuso tra i petali del tempo per Rina” in Italia), mentre tutto il progetto nasceva nel 1990 sotto forma di light novel, curata da Hajime Kanzaki, che si è occupato per una certa misura anche della produzione del manga associandosi a svariati disegnatori. Questo ha dato origine a una produzione manga decisamente frammentata ed eterogenea: il cambiamento di disegnatore ha portato anche un cambiamento dello stile delle storie. Personalmente ho sempre preferito il lavoro di Shoko Yoshinaka (anche autore del fantascientifico Lost Universe), mirato ad adattare il primo corso narrativo della novel, lo stesso da cui sono state tratte anche le prime due serie animate. Rui Araizumi, insieme a Kanzaki ha curato il primo volume di Slayers nel 1995, e ha sempre accompagnato l’autore nella produzione dei vari corti del manga, anche quando non direttamente coinvolto come disegnatore. Cerchiamo di fare luce in questo caos editoriale.. tutti i volumi sono stati pubblicati in Giappone dalla Kadokawa Shoten (non tutti i prodotti sono stati commercializzati in Italia):
- Slayers (1995) volume unico, disegnato da Araizumi;
- Choubaku Madouden Slayers (1995-2001) 8 volumi, disegnato da Yoshinaka;
- Slayers Special (2000) 4 volumi, disegnato da Tommy Ohtsuka;
- Slayers Premium (2002) volume unico, disegnato da Tommy Ohtsuka e Yoshihiro Komada;
- Slayers Knight of Aqualord (2004-2005) 6 volumi, disegnato da Tommy Ohtsuka e Yoshihiro Komada;
- Slayers Revolution (2008) volume unico, disegnato da Issei Hyouju;
- Slayers Light Magic(2008-in corso) 2 volumi, disegnato da Shin Sasaki e Yoshijiro Muramatsu;
- Shin Slayers: Falces no Sunadokei (2008-in corso) 2 volumi, disegnato da Shin Sasaki e Yoshijiro Muramatsu;
- Slayers Evolution-R (2009) volume unico, disegnato da Issei Hyouju
Ritengo che il tratto di Yoshinaka sia quello ad aver arricchito maggiormente l’universo di TS, dotandolo di illustrazioni apparentemente grossolane, grezze, eppure perfettamente in tono con gli elementi Sword&Sorcery che la serie sfrutta appieno, elegendosi a vero e proprio portabandiera dei manga fantasy all’Occidentale degli anni ’90, insieme a Record of Lodoss War (non me ne sono dimenticato, di questo altro prodotto ne parleremo quando saremo al 1998). Da sempre i manga a tema fantasy sono stati in qualche modo al centro dell’attenzione tra le varie riviste, tuttavia questo manga ricorda come non tutti debbano essere costruiti gestendo una semplice sequenza di battaglie che portano alla crescita di un protagonista: in TS abbiamo un gruppo di protagonisti già ampiamente formati e capaci, in grado di affrontare fin da subito ogni tipo di sfida che l’autore possa ideare. Seppur adattando una vicenda ampiamente approfondita nella versione animata, Shoko Yoshinaka ha fornito una sua versione della storia valida e accettabile meno ricca di dettagli, ma approfittando dello strumento “fumetto” è riuscito a mostrare alcuni personaggi da un’altra ottica (come nel caso del clone di Zeno), producendo in totale 8 tankobon (adattati nei primi 11 volumi dell’edizione italiana). Più autoconclusivi invece i lavori che hanno visto Kanzaki collaborare con Araizumi, come avete potuto intuire dalla lista sopra riportata, ma che fa intendere come il fenomeno TS sia ancora vivo e riscuota un certo interesse nel pubblico giapponese, sebbene l’ultima novel sia datata al 2007. Nel 2005 esce, trall’altro, un crossover tra Slayers e Orphen, serie più recente con molti elementi in comune alla prima.
Passiamo a un altro titolo, caratterizzato anche esso dall’essersi manifestato in molti modi, che in alcuni casi potrebbero essere andati oltre i desideri iniziali dell’autore. Nel 1996 la Shueisha pesca la carta Yu-gi-oh!, un manga disegnato da Kazuhi Takahashi e pubblicato su Weekly Shonen Jump, che diventerà un vero e proprio franchise dal successo globale.
Tralasciando tutti i prodotti messi in commercio con questo marchio e limitandomi a dare un’occhiata al manga, non posso fare a meno di notare che Kazuhi Takahashi ha anticipato una delle dinamiche preferite nell’ambiente shonen moderno, che consiste nel sostituire allo scontro di forza la sfida in abilità e astuzia gestita con regole stabilite in partenza: qualcosa che aveva già fatto molto timidamente in alcuni casi Araki in Jojo e Togashi in Yu yu, che in questo manga si presenta in forma matura e ben strutturata. Il manga di Takahashi non inizia raccontando le avventure che i vari protagonisti vivono in giro per il mondo praticando il gioco di carte di Duel Monsters (Magic&Wizard nel manga… da ex-giocatore di GCC ho sempre trovato le regole di questo gioco semplicistiche ma lineari): i primi volumi sono basati su sfide che chiamano in ballo svariati giochi di fortuna e abilità, o anche agilità fisica, allo scopo di decretare un vincitore “che ha ragione“. Nelle prime battute è molto più comune il ricorso da parte dell’alter-ego del protagonista Yugi Muto della “sanzione“, con cui punisce coloro che osano sfidarlo; solo successivamente il manga si focalizza sul gioco di carte per il successo che stava riscontrando presso i lettori. Rispetto all’anime la prima versione di Magic&Wizard presente nel manga è molto fantasiosa, possiede regole tirate fuori solo in determinati casi come quelle dei terreni, degli scontri attivi fra mostri (nei primi duelli del manga i mostri combattono effettivamente fra di loro, schivando attacchi e usando mosse speciali improvvisate). Dopo la creazione di un vero corpo di regole stabili necessarie alla commercializzazione del gioco, l’autore ha iniziato a costruire in maniera più rigorosa i suoi scontri, questo, più o meno a partire dall’arco narrativo della Città dei Duelli (23esimo volume).
La ripetizione della dinamica tipicamente shonen, in cui il protagonista vince dopo aver subito o sofferto per tutto uno scontro, era ampiamente garantita ad ogni duello, e l’autore non aveva che da variare le mosse dei suoi personaggi o le combinazioni tra queste. Si tratta di un sistema che garantisce ampiamente la possibilità di tirare fuori svariati colpi di scena limitandosi a mantenere uno stile coerente nel tipo di azioni (leggi: carte giocate) dei personaggi, senza doversi preoccupare troppo di allenarli e farli crescere… è sufficiente, in pratica, aggiungere una carta alla loro lista. L’importante, come sempre, è quello di non perdere mai la fiducia in se stessi e credere sempre in quello che si fa, che sia una sfida a dadi o un gioco di carte. Yu-gi-oh! in qualche modo influenza il metalinguaggio shonen in modi che ancora mi sfuggono, proponendocelo in una poliedrica forma secondo la quale è possibile che i personaggi combattano e si sfidino in ogni ambiente, con ogni logica e strumento possibile. È solo l’inizio dell’epoca dei manga in cui tutto, anche “pescare una terra“, diventa maledettamente “figo“.
Sempre nel 1996, su Weekly Shonen Sunday una delle G-Pen più produttive di tutto il panorama fumettistico nipponico sconvolge il mondo col suo nuovo manga: torna Rumiko Takahashi, e arriva il momento di parlare di Inuyasha, manga che se volete possiamo tranquillamente sintetizzare con questo pezzo della sua colonna sonora:
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Mi viene difficile parlare di questo manga, perchè si tratta forse del primo con cui ho sentito pesantemente l’avvicinarsi di un divario generazionale tra me e molte delle persone che hanno avuto la sventura di conoscermi. Nel 2001 avevo già letto Lamù, Ranma 1/2, Maison Ikkoku e One Pound Gospel, e nutrivo una certa aspettativa su questo nuovo manga, che dopo un iniziale entusiasmo ha finito per non riuscire a tenere vivo il mio interesse. E credo dipenda dal fatto che come opera rappresenti un netto cambio di stile da parte di un’autrice che in tre manga aveva già trovato una stabile maturità artistica, e una sua identità come professionista. Tuttavia non sembrava esserne soddisfatta. Per la prima volta la Takahashi decide di fare uno shonen più “classico“, con uno stile narrativo più lineare, sebbene sempre costruito attraverso una serie di avventure dall’apparenza autoconclusiva: questo cambiamento, e qualche mio problema con alcuni personaggi che proprio non ho saputo apprezzare, sono tra le cause della mia delusione nei confronti di questo manga. Eppure gli elementi ci sono tutti: c’è avventura, ci sono yokai (che tanto vengono apprezzati dai lettori di Sunday, se ricordate…), c’è mistero, dramma, intreccio, c’è amore e odio… una vicenda che raccoglie in sè tutti gli elementi che una storia dovrebbe possedere. Le proporzioni che la vicenda assume sono un crescendo continuo, funzionale fino al punto in cui appare il vero malvagio di questa storia, e poi, battaglia dopo battaglia, tra un frammento della sfera Shikon raccolto e uno perso, colpi di scena, redivivi… insomma, tra tutto questo, a un certo punto ho iniziato a perdere il filo. Credo che Inuyasha, costituito da 56 volumi, sia semplicemente troppo lungo. (E quando dico troppo lungo non dico di 2-3 volumi, ma di 20-25.)
La Takahashi non è un’autrice, a mio avviso, in grado di gestire uno shonen action secondo i canoni preferiti in questi ultimi anni: non vedo questo come un limite, o come un difetto, tanti autori hanno problemi con alcuni aspetti del loro mestiere, e sono costretti a scendere a patti con i loro limiti, cercando una soluzione di compromesso che gli permetta di sfruttare i loro punti di forza. Lo stile con cui quest’autrice orchestra i suoi combattimenti e la crescita dei suoi personaggi è ottimale se non vengono riproposti troppo frequentemente, e ci sono momenti in cui questo si riflette in una frustrante incapacità di concludere in maniera soddisfacente uno scontro. Per questo l’autrice fa combattere di tanto in tanto i suoi personaggi con nemici che possono essere sconfitti senza danneggiare in generale la trama, ma ad aumentare in questo modo è il superfluo. Eppure, nonostante questa mia posizione “impopolare“, ho dovuto più volte sorbirmi svariati monologhi fatti di lunghi pareri sull’intreccio coinvolgente, e sul desiderio di scoprire quale mondo sceglierà il protagonista una volta raccolta la sfera Shikon. Da gente che aveva letto solo questo manga (della Takahashi). E io rispondevo, sempre, che Inuyasha sarebbe finito più o meno come Ranma: non credo di esserci andato troppo lontano.
I personaggi sono pienamente nello stile tipico di questa autrice, in qualche modo sempre caratteristici. Eppure, sebbene alla fine della storia e dopo tutte le lotte affrontate si ritrovino cresciuti e rafforzati essi restano in qualche modo fedeli al loro archetipo: Inuyasha, Kagome, Miroku… restano sè stessi, quasi immutabili nel tempo, come accadde per Ranma e Ataru, indipendentemente da quanta consapevolezza possono aver acquisito. E questo è un dettaglio che alcuni possono apprezzare, altri no, indipendentemente dall’appartenenza alla seconda o la terza generazione di lettori perchè negli ultimi anni se ne sono visti diversi di manga con personaggi rimasti particolarmente fedeli a sè stessi. Credo faccia parte, come sempre, di un linguaggio shonen personale che varia in base all’ambiente in cui viene “usato”. Inuyasha terminerà nel 2008, e la Takahashi si lancerà immediatamente in quella che potrebbe essere la sua opera di addio, Kyoukai no Rinne. Manga che sta per raggiungere i venti volumi, e il sottoscritto, spaventato dalla delusione ricevuta con Inuyasha, ancora non ha avuto il coraggio di leggerlo.
Quinto e ultimo titolo affrontato oggi, Project Arms, pubblicato sempre da Shogakukan su Sunday dal 1997 al 2002, shonen a tema fantascientifico ancora apprezzato da molti lettori, nato dalla collaborazione di Nanatsuki Kyoichi (sceneggiatore) e Minagawa Ryoji (disegnatore).
Ryoji era già famoso per aver realizzato il manga fanta-archeologico Spriggan, opera nata probabilmente dall’influenza che negli anni ’80 aveva la serie di film di Indiana Jones. Insieme a un nuovo compagno di avventura si presenta al pubblico con un manga breve ma intenso, arricchito da tematiche di ogni genere, mai pesante e animato da un ritmo narrativo particolarmente “shonen“. Arms racconta le vicende di Ryo Takatsuki, giovane studente giapponese che si trova al centro delle macchinazioni di misteriose agenzie che vogliono sfruttare le nanomacchine che gli sono state impiantate nella sua infanzia. Questo ritrovato della tecnologia, oltre a fornirgli svariate abilità nel corso della serie, come resistenza fisica e la possibilità di guarire miracolosamente ferite anche gravi, lo mette in contatto con una sorta di “intelligenza” dalle origini misteriose che quando risvegliata brama l’annientamento di ogni cosa. Questo spirito distruttivo prende il nome da uno dei personaggi dell’universo creato da Lewis Carroll, egli è il Giabbervocco, la mostruosa lucertola alata armata di zanne e artigli che popola il mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie. Tutto Arms, inoltre, cita e sfrutta personaggi presi dalle filastrocche di Carroll, aspetto che è un innegabile valore aggiunto per tutta l’opera. Non solo techno-horror e filastrocche: in questo manga è possibile trovare di tutto, dalla scienza alle arti marziali, e la classica analisi dei legami che le persone stringono, della famiglia e dell’amicizia.
Il manga è un’escalation sequenziale di battaglie in cui i personaggi principali (Ryo il Giabbervocco, chiamato anche Jabawack, Hayato il Bianco Cavaliere, Takeshi il Bianconiglio, Kei la Regina di Cuori) acquistano esperienza, capacità di controllare i loro “poteri” e vengono a patti con la loro natura di mostri con sentimenti umani, con il loro destino e con queste identità che a volte possono impossessarsi del loro corpo, fino alla scoperta della reale natura delle Arms che porterà poi a un’epica battaglia finale, di quelle che spesso si citano come termine di paragone. Arms è un manga ricco di elementi e tematiche cyberpunk, al punto che non riesce a nascondere l’ammirazione che i due autori sembrano nutrire per Akira di Otomo, tant’è che non mancano neppure tutte le elucubrazioni metafisiche che spesso caratterizzano le versioni nipponiche questo tipo di prodotti. Il tutto, comunque, senza appropriarsi mai di pretese di grandezza e veridicità, viene risolto in modo molto più semplice di quanto alcuni lettori potrebbero aver ipotizzato in quegli anni. Arms è un manga che nonostante tutte le complesse, a volte esagerate, teorie fanta-scientifiche tirate in ballo riesce a mantenersi inaspettatamente genuino, sempre molto vicino a quelle che possono essere le reali manifestazioni dei sentimenti e delle azioni umane. Uno dei titoli che non mi stanco mai di consigliare.
Cinque i manga che volevo ricordare quest’oggi, raggruppati in un unico articolo per il semplice fatto che, sebbene abbiano una loro importanza storica, non sentivo di volergli dare uno spazio più ampio in questa serie di approfondimenti. E non volevo trascinarmeli nel prossimo appuntamento, perchè ci sarà al centro dell’analisi un manga “ingombrante“… la prossima volta andremo tutti all’arrembaggio.
Elijah 13 Gennaio 2014 il 00:30
Ti sono vicino; anche io ho trovato indigeribile Inuyasha.
ichigo2 14 Gennaio 2014 il 09:39
Eppure Inuyasha per un bel pezzo, avendo tutti gli elementi per essere uno shonen di ottima fattura, � effettivamente gradevole. Poi si perde troppo tempo per arrivare al punto. � uno dei pochi che ho droppato…
TVRX T-T 14 Gennaio 2014 il 14:05
Tenchi Muyo io non sono mai riuscito a soffrirlo, (difatti non sono riuscito ad andare oltre al terzo volume). Non metto in dubbio il suo valore storico, anche se non sono mai riuscito ad apprezzarlo.
Passando a Yu-gi-oh, sono stato uno dei tantissimi ragazzini ad essere travolto dal suo merchandising, (seppur la storia non mi attraesse molto). Per fortuna che hai tempi ero gi� parecchio spilorcio, quindi i danni furono parecchio limitati.
Inuyasha, come del resto Ranma, l’ho seguito tramite l’anime, ma confermo quanto detto da Ichigo qua sopra: molto gradevole, parecchi elementi interessanti, (la mitologia giapponese, le relazioni fra i compagni, le scene di azione), per� davvero lungo per arrivare al sodo.
E infine arriviamo a Project Arms: uno dei pochissimi manga che ho letto per intero, (comprandone i volumi), e che ho davvero apprezzato. Fra nano-macchine e citazioni letterarie era impossibile che me lo perdessi.
Aspetto con curiosit� il prossimo articolo, (quale sar� il manga tanto ingombrante di cui parli?).
Starry 15 Gennaio 2014 il 11:18
Credo proprio che parli di One Piece (da noi la tv l’ha sempre venduto come One Piece – Tutti all’arrembaggio!) Comunque grande articolo, non voglio pensare a quanto tempo sia servito per la raccolta del materiale.. Continua cos�!
Regola 15 Gennaio 2014 il 11:44
Esatto… “ingombrante” � la definizione data una volta in mia presenza da un collezionista che non sapeva dove tenere tutti i volumi.
TVRX T-T 15 Gennaio 2014 il 11:44
Penso che non siamo ancora arrivati a One Piece, (nell’articolo dedicato a Dragon Ball, s’era detto che mancavano 17 titoli per arrivarci). Se non sbaglio, eh.
Regola 15 Gennaio 2014 il 11:51
1985 saint seiya
1987 le bizzarre avventure di jojo
1987 ranma 1/2
1987 3×3 occhi
1988 bastard!!
1989 dai la grande avventura
1990 ushio e tora
1990 yu yu hakusho
1991 ghost sweeper mikami
1991 emblema di roto
1991 il violinista di hamelin
1994 rurouni kenshin
1994 tenchi muyo
1995 the slayers
1996 yu-gi-oh
1996 inuyasha
1997 ARMS
17 precisi
(non avrei dovuto rivedere la scaletta… adesso ho mal di testa)
TVRX T-T 15 Gennaio 2014 il 13:38
Ah, ok, (io stavo rispondendo a Starry). Allora via, � gi� arrivata l’ora di One Piece. Aspetto il prossimo articolo con un interesse maggiorato, allora.
Rapsodia 17 Gennaio 2014 il 21:53
Inuyasha � stato il mio primo manga, seguito da Rave di Hiro Mashima. Non l’ho mai trovato indigeribile o eccessivamente lento o pesante, anzi, nonostante vari storilines inutili mi ha impressionato per come � riuscito a mantenersi interessante nel tempo. L’ambientazione (graficamente parlando) giapponese-feudale poi, secondo me � resa magistralmente (almeno agli occhi di un europeo) ed � in ogni caso molto godibile.
Humpty Dumpty 14 Agosto 2015 il 20:37
Ottimo articolo e ottimo periodo per i manga il 1994-97.
Di questi cinque presentati 3 sono tra quelli che ho letto e riletto innumerevoli volte e che mi hanno avvicinato alla lettura dei manga.
Tenchi Muyo e The Slayers sono tra i miei preferiti ed erano veramente dei fenomeni editoriali, e successivamente anche anime di grande successo, di cui parlavano veramente tutti.
Peccato che il manga di entrambi in Italia sia stato pubblicato solo a metà (entrambi da Panini comics), ma nel caso di Slayers non l’ho trovato un problema perchè fu pubblicata tutta la saga di Yoshinaka che era la migliore (d’accordissimo con quanto detto dall’autore dell’articolo che il suo stile è il migliore) e quella associata alla bella serie d’animazione e anche quella che io lessi mentre i numeri disegnati da Araizumi e praticamente indipendenti dalla trama della serie non li lessi (ma vorrei leggere Knights of aqualord di Othsuka), mentre per Tenchi muyo è un peccato che il manga (una derivazione della serie tv visto che comincia proprio dalla sua fine) si sia interrotto al numero 14 e non se n’è più vista l’ombra…. Un’altro manga di cui vorrei vedere la ristampa e la conclusione.
Per quanto riguarda ARMS (anch’esso pubblicato dalla Panini) è uno dei manga fantascientifici-action migliori che abbia mai letto e che continuo a leggere, l’ho apprezzato più di Spriggan. In questo caso è stato pubblicato integralmente.
Yugi-ho è uno di quelli che non mi hanno mai attirato nemmeno un pò e di cui non so nulla mentre di Inuyasha condivido ogni singola parola dell’articolo: ottima partenza e ottimi personaggi da parte di Rumiko Takahashi ma l’eccessiva lunghezza (cosa che ho riscontrato anche con Ranma 1/2) mi ha stancato anche perchè anche la trama ne ha risentito grandemente.