Ho già scritto tanto e dovrò scrivere molto di più, dopotutto siamo ancora al 1991! Anno questo in cui iniziano i tre manga di cui voglio parlarvi quest’oggi, ed essendo titoli noti ma non così tanto lo spazio a loro dedicato è minore rispetto ad altri, ma non vuol certo dire che si tratti di fumetti meno belli. Diciamo che si tratta di serie particolari, che hanno avuto un loro pubblico numeroso, ma non abbastanza da farli sembrare un successo globale. Il primo dei tre titoli è Ghost Sweeper Mikami, uscito su Weekly Shonen Sunday della Shogakukan dal 1991 al 1999.
Sempre sul filone dei manga basati su spettri e mostri di ogni sorta molto apprezzato dai lettori di Sunday, Takashi Shiina presenta un nuovo modo di fare manga particolarmente fresco e moderno per l’epoca, tant’è che molti autori ancora oggi guardano a Mikami come uno degli shonen che meglio fonde azione, umorismo e amore, tutto grazie a un organico di personaggi particolarmente funzionale costruito intorno al trio di protagonisti: l’acchiappafantasmi Reiko Mikami, lo studente squattrinato Tadao Yokoshima e il fantasma Okinu. Per la prima volta si afferma in un fumetto per ragazzi una protagonista femminile dalla forte personalità, molto più determinante di quanto si era letto nei fumetti della Takahashi (sempre su Sunday, trall’altro): Reiko Mikami è un’imprenditrice, una rossa esplosiva interessata esclusivamente al denaro, capace e determinata; assume Yokoshima come schiavo tuttofare solo perchè questi, un pervertito tra i pervertiti, è disposto a tutto pur di lavorare a fianco di una bella donna. Tra qualche caso di esorcismo serio, e qualcuno umoristico (soprattutto nella prima parte) il manga proseguirà su due corsi ben precisi: quello di Reiko, professionista rinomata, e quello di Tadao, sbadato apprendista, che si troverà in possesso di una particolare propensione a produrre energia spirituale in grandi quantità grazie alle sue continue eccitazioni sessuali… ma risulterà essere privo della capacità di controllarla.
Ghost Sweeper Mikami è stato pubblicato in Italia tra il 1997 e il 2006, completato molto lentamente dalla casa editrice Star Comics nonostante le scarse vendite del manga (una delle filosofie della Star è sempre stata quella di non chiudere mai una serie, al costo di pubblicare con cadenza semestrale), dovute, secondo la mia opinione, al fatto che il pubblico italiano non era ancora pronto per questo tipo di manga, ricco di elementi appartenenti alla mentalità nipponica, non filtrati e presentati come “folklore” per come accadeva nei manga di Rumiko Takahashi. D’altronde la passione di Mikami per i guadagni, e la povertà di Tadao sono alcuni degli elementi ridondanti del manga, soprattutto nella sua prima parte, che comunicano in modo molto originale come sia considerato il lavoro, e la crisi economica, in una società alle prese con la prima vera recessione economica dal dopoguerra. Tutto questo condito da uno stile vivace, e da un gusto per l’action che negli anni ’90 conquistò milioni di lettori giapponesi, con quella che è una sintesi e metabolizzazione dello stile di altri autori (Mikami ricorda in alcuni momenti Dragon Ball, in altri Yu Yu Hakusho iniziato nello stesso anno, in altri si presenta fresco e originale) perfettamente integrato in una struttura sì episodica, ma straordinariamente lineare nel suo modo di procedere sempre di pari passo alla crescita di Yokoshima. In Mikami, come in molti manga di questo tipo, è presente una storia principale intrecciata con tante piccole storie.
Nel 1999 Takashi Shiina chiude il manga con estremo disappunto di tutti i suoi fan: ancora oggi è forte la speranza che l’autore torni a disegnare le avventure di Reiko e Yokoshima (cosa che ha fatto brevemente su Sunday nel 2011 per dare coraggio alla popolazione dopo lo tsunami), ma l’autore ha più volte dichiarato di non voler disegnare lo stesso manga per tutta la vita. Ciononostante Mikami resta per certi suoi aspetti più moderno di molti altri manga di questo periodo, per l’uso che l’autore fa di vampiri, scienziati pazzi, cyborg, esorcisti e divinità varie… tutti elementi che non hanno spesso niente in comune fra di loro, straordinariamente armonizzati in modo da anticipare almeno di dieci anni i gusti della fandom manga/anime contemporanea, sempre alla ricerca di serie che propongano questi elementi in chiave nuova o inaspettata.
Sul filone del successo della saga videoludica di Dragon Quest e di Dai la Grande Avventura nel 1991 su Monthly Shonen Gangan della Square Enix, allora semplicemente Enix, inizia Dragon Quest Retsuden – Roto no Moushou (Dragon Quest: l’Emblema di Roto).
Disegnato da Kamui Fujiwara e sceneggiato da Chiaki Kawamata (autore noto per i suoi romanzi sci-fi), rinforzati dall’arrivo di Junji Koyanagi quando l’opera era ancora nella sua fase introduttiva, l’Emblema di Roto resta più fedele all’universo Dragon Quest rispetto a Dai, presentandosi per certi versi più “maturo” se confrontato al manga pubblicato su Jump. Sebbene anche questo manga sia un fantasy incentrato sulla crescita e sul percorso di un prode guerriero, la gestione della storia ricorda esattamente la ricostruzione su carta di un videogioco, con personaggi che si ritrovano ad affrontare sfide sempre crescenti in difficoltà, portando libertà e speranza nei luoghi che visitano. Questo fino a metà manga (che conta in totale 21 volumi) quando la vicenda si evolve, diventa in qualche modo più adulta e consapevole, e contemporaneamente più tetra, fino a diventare in certi punti un vero e proprio dark fantasy. Procedendo in modo lineare la storia dipinge la crescita di Arus, il protagonista discendente del prode Roto, e dei personaggi che lo circondano, da futuri e ottimisti salvatori a esseri umani pieni di dubbi e rimpianti. Il tutto in modo obiettivamente buono, sebbene la serie pecchi in certi aspetti per mancanza di originalità e per alcune caratteristiche (non solo grafiche, ma anche di sceneggiatura) palesemente prese in prestito da Dragon Ball.
Manga senza alcuna pretesa di grandezza, l’Emblema di Roto possiede tutte le carte in regola per piacere a un pubblico vasto ed eterogeneo. Gli elementi umoristici e i fanservice sono presenti solo nella prima parte del manga e si possono contare quasi con la dita di una sola mano; sono presenti svariati tipi di combattimento, con spade, pugni e incantesimi e salvo qualche caso gli elementi action non vengono edulcorati, cosa che rende in alcuni punti il manga un vero e proprio splatter. Tutto condito da un organico di malvagi ottimamente bilanciato dalla presenza di tutte le tipologie in cui questo genere di personaggio può manifestarsi: esistono cattivi da redimere e cattivi da sconfiggere, e i personaggi diventano consci di questa realtà col procedere della storia e con la semplice presentazione dei svariati antefatti. Così come non viene dimenticato il ruolo della tragedia e della sofferenza nel cammino di un eroe: la morte di alcuni personaggi è presente forse con il contagocce, ma saggiamente sfruttata ai fini della trama. La lunghezza non eccessiva lo rende poi facilmente recuperabile e leggibile (anche perchè si tratta di uno di quei manga difficili da trovare in rete).
Ma la caratteristica (vincente per il sottoscritto) che differenzia Roto da Dai è la presenza nel primo di una figura che funga perfettamente da precisa contrapposizione al protagonista, un erede di sangue sacro come Arus, ma maledetto dall’acquisizione in tenera età di un nome che gli ha conferito i poteri di un signore del male. Jagan, erede di Roto (il primo prode) come Arus, è un antagonista perfettamente riuscito secondo i canoni dei manga degli anni ’90, proprio in virtù del suo essere speculare al protagonista: dove Arus è luce e speranza, Jagan e buio e disperazione; sentimenti, questi, che nel manga trovano ampiamente voce costruendo un personaggio a tutto tondo, segnato soltanto dalla sua angoscia e follia, che in certi momenti ruba il palcoscenico al protagonista e quasi porta il lettore a tifare per questo povero diavolo. Laddove molti vedono il personaggio di Vegeta come archetipo che ha ispirato la figura di Jagan, per il complesso legame di emozioni e motivazioni che la sua vicenda intesse ho sempre preferito il secondo al primo.
Sempre nel 1991, sempre su Monthly Shonen Gangan della Enix, iniziava un altro manga abbastanza caratteristico, il musicale Violinista di Hamelin:
Manga d’esordio per Michiaki Watanabe (da non scambiare per il compositore delle colonne sonore di Mazinga Z, il Grande Mazinga, Jeeg Robot…) ha avuto una triste storia editoriale nel nostro paese: la sua pubblicazione iniziò nell’Aprile 1998 ad opera della Comic Art, con un’edizione veramente curata. Erano presenti rubriche, articoli vari sul mondo della musica (in cui per la prima volta ho sentito nominare Angra, Bodom, Malmsteen, Dark Tranquillity e tanti altri gruppi) o a tema con il fumetto, e addirittura un angolo della posta, cosa oggi considerata molto vintage. Eppure, nonostante la cura e il buon lavoro di adattamento fatto, nel 2000 il fondatore della Comic Art decide di congelare la società per evitare la bancarotta interrompendo tutte le pubblicazioni (la casa editrice era nata nel 1965), e quindi dei 37 volumi totali del Violinista di Hamelin in Italia ne abbiamo visto pubblicare solamente 9. E non vi sono speranze che qualche altra casa editrice si prenda il rischio di acquistare e ripubblicare questo manga, perchè molto lontano da quelle che sono le attuali preferenze del pubblico.
Watanabe ha disegnato uno dei miei manga preferiti degli anni ’90 (come al solito devo avere preferenze strambe..): apparentemente il suo è un lavoro di sintesi e combinazione di elementi presi da Bastard!! e Saint Seiya, il tutto condito con un’ambientazione dal tono steampunk. Ambientazione che, tuttavia, non assume una vera e propria consistenza prima del settimo volume (edizione italiana), tant’è che nelle prime parti l’autore ambienta la storia nel nord Europa. Protagonista della vicenda è Hamel, un violinista girovago il cui strumento sembra più un contrabbasso, che si guadagna da vivere sfruttando i villaggi che salva da creature mostruose, che ricordano per certi versi i balordi di Hokuto no Ken. Il gruppo di personaggi che si formerà con la guida di questo strampalato anti-eroe, che si fa pagare in yen sebbene sia in Europa, è eterogeneo: Oboe, un corvo parlante che da sempre accompagna Hamel; Flauto, un’orfana che inizialmente Hamel salva per vendere come schiava; Raiel il paladino di amore e giustizia, amico d’infanzia di Hamel che combatte con un pianoforte realizzato integralmente in oro, dal peso di 500 chilogrammi; Trom, giovane spadaccino erede al trono di un regno distrutto dai demoni. Questo gruppo di folli inizia un lungo viaggio verso Nord, per sconfiggere il signore dei demoni Orchestra nella sua stessa capitale e salvare il mondo. Quelle che sembrano parole lanciate al vento dal protagonista, per “farsi bello“, acquistano significato quando nelle prime battute del manga si scopre la sua vera identità: egli è un mezzo-demone, figlio di Orchestra e Pandora, l’umana che molti anni prima aprì il famoso vaso liberando i mali per il mondo. Eppure con essi, venne liberata anche una piccola e debole luce, chiamata speranza.
Hamelin è il manga degli eccessi. Definirlo umoristico è poco, la sua struttura è piuttosto satirica, in esso l’autore non si risparmia la distruzione di tutti gli stereotipi presenti negli shonen manga, divertendosi a rendere i suoi personaggi l’esatto opposto del loro archetipo di appartenenza. È un manga che definirei in possesso di un ritmo distruttivo, la scena faticosamente costruita viene spesso sbranata in un folle furore semplicemente girando pagina, con i personaggi che sbandierano senza nessun ritegno tutti i loro vergognosi difetti. Eppure, per il lettore che si arma di (tanta) pazienza e forza di volontà, a un certo punto Hamelin comincia a pagare e rende dieci volte tanto le energie investite con scene di indubbia epicità, colorate dai più nobili sentimenti umani, come coraggio, amore, valore e spirito di sacrificio. Il tutto condito con sinfonie prese in prestito dai lavori dei più grandi compositori dell’800: in Hamelin la musica è magia, ha effetto sull’animo umano (e non) e può servire a rafforzarlo o cambiarlo. La musica può anche compiere miracoli. Musica non solo presente nel manga: a volte possono comparire note in cui è chiaramente consigliato quali pezzi ascoltare durante la lettura. Tra i manga a tema musicale che ho letto, devo proprio a Hamelin il merito di avermi mostrato quanto possa essere gratificante come esperienza ascoltare musica “a tema” durante la lettura, o la composizione dei miei scritti più complessi. Tanto per restare in tema, Hamelin, come molti dei manga che mi sono piaciuti, è stato segnato da un adattamento animato aberrante.
Concluso anche questo appuntamento vi esorto a prepararvi, perchè il prossimo sarà uno dei nodi fondamentali di questa mia serie di approfondimenti, con un manga che ci accompagnerà in quella che ho definito come terza generazione: il samurai con la cicatrice a croce sta arrivando.
Pesci 3 Gennaio 2014 il 17:28
OHHHHHH, non vedo l’ora di leggere la retrospettiva su Kenshin.
Come al solito ottimo lavoro Regola! Con questo articolo mi hai ricordato che Mikami � uno dei primi manga che ho conosciuto… � davvero da tanto tempo che non lo rileggo, e non mi pare di aver mai raggiunto il finale
Aster 3 Gennaio 2014 il 18:22
Altro nell’articolo, tra l’altro non sapevo che Mikami fosse anche un manga, ai tempi avevo visto l’anime e non mi attirava cos� tanto…
Peccato che Hamelin non si trovi, sembra parecchio intrigante da come l’hai descritto.
Regola 3 Gennaio 2014 il 18:51
Hamelin a momenti sa essere pesante. L’ho letto tutto molti anni fa ed � stata necessaria parecchia pazienza, ma alla fine mi ha soddisfatto abbastanza.
Sull’anime di Mikami non saprei che dire, non mi � mai capitato di vederlo, quindi non saprei effettivamente se si discosta o resta fedele al manga.
Humpty Dumpty 14 Agosto 2015 il 18:55
Hamelin è un manga di difficile interpretazione, e anche collocazione, per via delle tematiche inusuali (musica che la fa da padrone e una componente umoristica molto forte) ma a mio parere vale la lettura perchè la storia è intrigante e molto ben articolata e i colpi di scena non mancano.
All’inizio è molto lento lo ammetto e i primi numeri sono quasi storie indipendenti ma dopo poco la storia principale prende il via ed è bello vederne lo svolgimento.
Io personalmente vorrei davvero vedere la conclusione ma purtroppo nessuna casa editrice sembra volersi prendere il rischio di ripubblicarlo (probabile un pubblico ristretto) ed è un peccato visto tutti i manga e le case editrici che oggi pubblicano fumetti giapponesi in Italia.
ichigo2 4 Gennaio 2014 il 03:56
E la prossima sar� la recensiona di Kenshin!!!
ningen 4 Gennaio 2014 il 11:22
Questi 3 manga li ho sempre sentiti nominare, ma per un motivo o per un’altro non li ho mai approfonditi pi� di tanto. Certo � un p� triste vedere che ben 2 di questi 3 manga in Italia hanno avuto disavventure editoriali (non so come sia per l’emblema di roto, ma ho capito che � gi� pi� facile da reperire rispetto agli altri 2). Forse � vero che un certo tipo di manga, mal si adattano ai gusti occidentali ed italiani in questo caso.
Regola 4 Gennaio 2014 il 12:59
Bisogna anche contare un altro fattore: la crisi dell’editoria italiana alla fine degli anni ’90. Molti editori guardano a questo periodo come la fine di un’epoca d’oro.
Humpty Dumpty 14 Agosto 2015 il 18:46
Perfettamente d’accordo con l’articolo che indica questi manga come di successo ma non come altri più blasonati per la fama maggiore che hanno ma non per questo meno belli.
Di questi ho letto solo L’emblema di Roto e Hamelin (non concluso) e valgono la lettura.
C’è da rallegrarsi che 2 su 3 (Mikami e L’emblema di Roto) sono stati stampati integralmente, entrambi da Star comics, e si è potuto vedere la fine, aspetto ancora una ristampa di Hamelin per leggere tutta la storia ma purtroppo sembra che non arriverà mai…… 🙁
Humpty Dumpty 14 Agosto 2015 il 18:46
Perfettamente d’accordo con l’articolo che indica questi manga come di successo ma non come altri più blasonati per la fama maggiore che hanno ma non per questo meno belli.
Di questi ho letto solo L’emblema di Roto e Hamelin (non concluso) e valgono la lettura.
C’è da rallegrarsi che 2 su 3 (Mikami e L’emblema di Roto) sono stati stampati integralmente, entrambi da Star comics, e si è potuto vedere la fine, aspetto ancora una ristampa di Hamelin per leggere tutta la storia ma purtroppo sembra che non arriverà mai…… 🙁