Tra tutti i titoli che ho letto Ushio e Tora occuperà sempre un posto speciale nella mia memoria (nella speranza che non si deteriori nei prossimi anni). Pubblicato sulla rivista Weekly Shonen Sunday della Shogakukan tra il 1990 e il 1996 era anche l’opera di esordio di Kazuhiro Fujita, un autore quasi dimenticato in questi tempi moderni, nonostante sia stato uno dei padri di un nuovo modo di concepire lo shonen manga basato sugli youkai, gli spiriti giapponesi, senza per questo staccarsi troppo da quella che è la tradizione vera e propria (molte delle creature che cita sono presenti nell’Enciclopedia dei Mostri Giapponesi) ma sfruttando a proprio vantaggio i crespuscolari tempi in cui viviamo. Conscio che la modernità non lascerà più spazio alla superstizione, Fujita colloca la sua storia in un mondo razionalmente orientato che tutti ben conosciamo, dando alla sua storia il gusto e il sapore delle più epiche tragedie. Ushio e Tora è il manga che più di tutti si avvicina al concetto di “poema epico“, non solamente per le sue tematiche mitologiche, ma anche per la complessa poesia di sentimenti e motivazioni che Fujita intesse con i suoi personaggi, costruendo quello che dal primo all’ultimo capitolo mi è sempre parso essere un lungo “canto“.
Il protagonista è un semplice ragazzino, cresciuto senza madre e con un padre spesso assente, che si ritrova un giorno a liberare uno strano youkai tenuto prigioniero in cantina da una strana lancia, conficcata nella sua spalla. Aotsuki Ushio, ingenuo e di buon cuore, cade nella trappola del demone liberandolo, ma diventa il possessore della Lancia della Bestia, un’arma dalle origini misteriose in grado di conferire al portatore la forza e l’esperienza necessaria per fronteggiare qualunque youkai. Per questo motivo Tora, lo spirito liberato dalla Lancia, sebbene sia uno dei più valenti e rinomati combattenti tra tutti i demoni esistenti non riuscirà a divorare Ushio, decidendo di infestarlo e attendere il momento opportuno per attaccare. Eppure i due finiranno inevitabilmente per diventare un’invincibile coppia pronta a raddrizzare ogni torto subito da uomini o youkai: Ushio, giovane e innocente, crede fermamente che i due mondi possano convivere, ed è disposto a sopportare qualunque sofferenza in prima persona, caricandosi fin da subito di responsabilità troppo pesanti per un ragazzino delle medie. La prima parte del manga è composta da pezzi autoconclusivi, comunque legati da un filo conduttore, in cui Ushio e Tora incontrano e affrontano svariati youkai, fino al giorno in cui viene rivelato il destino di colui che brandisce la Lancia della Bestia: affrontare Hakumen no Mono, altrimenti conosciuta come la Volpe a Nove Code. Ushio, un fragile essere umano, è destinato a combattere il male nella sua incarnazione più feroce e astuta, dotata di artigli affilati quanto i suoi inganni, mossa solo dal desiderio di divorare e consumare questo mondo nella fiamme del suo incommensurabile odio. Per un ragazzo dal cuore d’oro, tenero ed emotivo, è indubbiamente troppo.
Il Fujita di Ushio e Tora è dotato di uno stile di disegno rozzo, a volte impreciso, certamente molto lontano da quelli che sono i standard moderni, eppure le sue capacità di sceneggiatore sono superiori a quelle di molti altri suoi colleghi: quando Fujita disegna la scena avviene dentro la vignetta, non nella tavola, la rapidità con cui riesce a descrivere ogni avvenimento gli permette di inserire nei suoi capitoli tanti di quegli elementi, dettagli, commenti bisbigliati in sottofondo, da rendere il suo manga particolarmente vivido. Ushio e Tora saltano letteralmente fuori dalla pagina, invadendo gli spazi e circondando il lettore, e Fujita orchestra tutto ciò mantenendo il suo tempo narrativo con un ritmo incalzante. I suoi personaggi, attori bravissimi, appaiono da soli nella scena nel modo e nel momento giusto, senza mai dimenticare il loro modo personale di farlo. A più riprese poi, l’autore si diverte a giocare con i sentimenti del lettore, quasi fosse perfettamente conscio del numero di vignette necessarie per coinvolgerlo tanto da commuoverlo o infervorarlo, trascinandolo nella lettura quanto basta per poi lasciarlo andare senza averlo trattenuto eccessivamente. Si passa pertando dalla commozione per il dramma delle yukionna o delle kamaitachi… al religioso silenzio che accompagna la rivelazione delle origini della Lancia.. al coinvolgimento crescente e soffocante quanto un groppo in gola, man mano che i combattimenti si fanno più intensi, e lo scontro finale sempre più vicino.
Tra i tanti manga d’avventura esistenti Ushio e Tora è uno di quelli che meglio descrive la genesi dell’eroe, conservando sempre la sua genuina spontaneità quando la complessità della vicenda cresce ricordando una vera e propria spirale. Tanti personaggi accompagneranno Ushio nella sua lotta, ma in qualche modo Fujita non dimentica che il percorso dell’eroe è fatto anche di solitudine: sentimento che ha origine dal peso delle responsabilità o del sacrificio che questo ruolo comporta. Sentiero che viene tracciato dall’incrocio con un’eterogeneità di personaggi non indifferente, provenienti sia dal genere umano, nelle vesti di comuni cittadini, giovani, uomini e donne, vecchi e folli esorcisti che hanno consacrato la loro vita a combattere youkai, anche loro eterogenei quanto gli umani, in grado di operare scelte che dipendono dalle loro caratteristiche individuali e non da quelle di mostri divora-umani.
Nei suoi combattimenti Fujita non si crea troppi problemi, giustificando la forza dei suoi personaggi con l’esperienza o abilità particolari che non si stanca di attribuire, rafforzandoli con quelle che sono le più basilari emozioni e motivazioni dello shonen manga. Nella Lancia brandita da Ushio c’è lo stesso potere dall’inizio alla fine del manga, quello che cambia è indubbiamente il modo in cui il protagonista si rapporta a essa e al proprio destino, alla ragione e ai sentimenti che prova impugnandola e scagliandosi verso il male che gli si pone davanti, spesso atto che compie istintivamente, senza pensare, poichè non ha nessun dubbio o ripensamento sulle sue azioni quando c’è di mezzo un innocente da salvare. Tutto questo in un “vecchio” manga, amicizia, coraggio, senso di sacrificio.. sempre le stesse cose che troviamo nello shonen manga, ma trasmessi con un tono e un calore portentosi. Un manga, Ushio e Tora, che una volta letto influenza necessariamente tutte le altre letture.
Cambiamo tono (l’ho scritta davvero io la prima parte?), cambiamo rivista ma rimaniamo sempre nel 1990: in quell’anno Yoshihiro Togashi iniziava la sua prima lunga serializzazione dopo essere stato nelle scuderie Shueisha per qualche anno. Dopo aver vinto il Tezuka Award nel 1986 (all’età di vent’anni) aveva prodotto unicamente storie brevi non troppo note, e il primo manga per cui verrà ricordato è proprio quello di cui sto per parlarvi, Yu Yu Hakusho. Autore e manga con cui il sottoscritto ha sempre avuto un rapporto difficile, sin dal primo contatto avvenuto sulla rivista Express della Star Comics (rivista sperimentale, che prevedeva di presentare manga ai lettori italiani pubblicando un capitolo al mese; sul primo numero vi erano anche Capitan Tsubasa, I”s e Rurouni Kenshin), non perchè non mi piaccia il suo lavoro, ma perchè a momenti trovo veramente difficile rapportami con esso, molto più che con altri.
Togashi è un autore sempre padrone della scena. Leggendo le sue tavole ho spesso due sensazioni particolari e discordanti, una prima che vorrebbe tranquillizzarmi sussurrandomi che “tutto è sotto controllo“, una voce che richiama all’ordine e alla consistenza e congruenza ma che viene pesantemente ostacolata da una seconda, urlante di disperazione e follia. Ho da sempre l’impressione che quest’autore stia lottando con delle regole, delle norme, che si è imposto da solo. Come se fosse ossessionato dalla ricerca del corso migliore per le sue storie, anche laddove gli esiti sono palesi e scontati, per produrre qualcosa di realmente unico che debba soddisfare in primo luogo se stesso, e poi il lettore. E gli amanti del lavoro di Togashi mi paiono tutti incosciamente consapevoli di questa lotta interiore, e di come in qualche modo round dopo round sia sempre più chiaro che a vincere non sarà il mangaka. Chissà, magari finirà come in tutti gli shonen manga, in cui l’ultimo tratto del tunnel di disperazione affrontato dai protagonisti è anche il più buio. Ma qui voglio parlare del passato, del presente e del futuro ne parleremo più avanti, quando verrà il turno di Hunter x Hunter.
Togashi è un autore della seconda generazione di mangaka (vi ricordate l’introduzione?) eppure opera e ragiona come uno della terza, e ritengo dipenda dal fatto che molto del suo lavoro è stato influenzato dai videogiochi: è questa una delle sostanziali differenze rispetto agli autori del decennio prima, che affondavano le radici della loro ispirazione soprattutto nella cinematografia. Dagli anni ’90 in poi si assiste a una diffusione a macchia d’olio dei videogiochi e dei fumetti, grazie al lavoro fatto da alcuni pionieri nel decennio precedente; questi due “intrattenimenti” iniziarono all’epoca un percorso in parallelo in cui non hanno fatto altro che ampliare quantitativamente la loro complessità (dopotutto gli appassionati di manga di vecchia data sono un po’ dei retrogamer). Ovviamente non tutti gli autori sono stati videogiocatori, ma molti lettori lo sono, dopotutto chi non ha mai letto un fumetto e giocato a un videogioco? Togashi è ben conscio di questi elementi perchè fanno parte della sua vita, della sua formazione, e li utilizza sapientemente nel suo primo lavoro; inoltre, è impressionante come abbia riportato al successo in Jump i manga a tema scolastico, che non sempre sono andati molto lontano in questa rivista. Egli riporta i teppisti su Jump, le pompadour e le risse di strada, e lo fa in un modo che ancora influenza molti degli attuali autori che decidono di cimentarsi in questo tipo di manga, eppure in Yu Yu Hakusho non dimentica che i suoi lettori vogliono soprattutto combattimenti e personaggi in possesso di sovrannaturali poteri. Nasce così Yusuke Urameshi, il teppista buono, morto commettendo una buona azione il quale, per guadagnarsi la resurrezione, è costretto a lavorare come agente investigatore per l’aldilà… fino ad essere pienamente coinvolto in quella che è una vera e propria guerra sotterranea, nella quale ricoprirà ovviamente un ruolo di fondamentale importanza.
Molti lettori affermano di apprezzare i combattimenti nello stile di Togashi poichè questi presenta un corpo di regole ben precise e opera all’interno di esse, permettendo quindi una precisa e impeccabile spiegazione di tutto quello che avviene dentro e fuori la scena d’azione. Per il sottoscritto, contorto analizzatore, l’eccessiva ricerca di ordine è solo il modo in cui si manifesta la paura per il disordine, l’imprecisione, o se vogliamo essere più precisi in questo caso, il timore di vedere il proprio lavoro non accettato. Motivato in questo modo Togashi è riuscito a dare una sofferta forma al suo stile narrativo, generando poi la dinamica delle “cartucce limitate“: tale scelta lo porta ad estraniarsi, in alcuni momenti, dalla dinamica tipicamente manga in cui la volontà permette di superare i propri limiti e compiere miracoli… se Yusuke è capace di sparare altri tre Rei Gun dovrà vincere lo scontro entro tre colpi. Certo, a volte Togashi riesce a fuggire dalle catene che si autoimpone, e rompe le sue regole mostrando ai suoi lettori una plausibile spiegazione di quanto è accaduto, ritrovandosi poi con ulteriori leggi da rispettare e armonizzare. L’incapacità di continuare, dovuta a eventuali problemi di salute che non conosciamo con precisione (ritengo che Togashi non sia di costituzione sufficientemente robusta da resistere allo stress fisico e mentale tipico della professione che ha scelto), porta a una conclusione prematura e abbozzata di Yu Yu Hakusho nel 1994.
Eppure c’è tanto in questo manga, soprattutto per coloro che i manga devono farli: come sempre le esperienze altrui servono sia a intuire il percorso da seguire, sia quello da non seguire. Un esempio: sebbene Togashi non sia riuscito a staccarsi troppo dal “torneo“, strumento narrativo introdotto da Dragon Ball, è indubbio che lo abbia personalizzato e restituito arricchito. Lo stile delle “cartucce limitate” è ben noto ai lettori moderni, e si aspettano che venga rispettato quasi fosse una legge universale senza afferrare il rischio chiaramente anticlimatico che esso assumerà andando avanti nella storia. È chiaro che uno scontro può essere nettamente più coinvolgente e spettacolare se il personaggio è veramente a corto di risorse, ma la continua ripetizione di scontri gestiti solamente in questo modo finisce per renderli insipidi e ripetitivi. Togashi sceglie di liberarsi da queste catene attraverso l’allenamento (è infatti uno dei migliori mangaka viventi quando si tratta di “addestrare” i personaggi) e con qualche power-up ben assestato, temporaneo o meno che sia, ma non riesce a sciogliere definitivamente i legami col passato dimenticando una delle funzioni fondamentali della narrazione manga, ovvero stupire e divertire. Quando leggo Yu Yu Hakusho non riesco ad immaginare che Togashi si sia divertito nel disegnarlo…
Ultimo ma non meno importante, è lo stile inconfondibile nella creazione di personaggi di questo autore. Sebbene oltre a svariati teppisti inserisca demoni (anche demoni teppisti), vecchie insopportabili, giovani umani in possesso di poteri che ricordano Stand (“Territori”) e creature il cui aspetto rispecchia indubbiamente lo stato emotivo dell’autore alla loro prima apparizione, Togashi non ha mai dimenticato che il suo è un manga che narra la storia di un delinquetello da quattro soldi, e per questo i principali cattivi appaiono un po’ come onorevoli yakuza. Ed una cosa che, voluta o no, ho indubbiamente apprezzato.
Anche oggi abbiamo finito (non so voi, sto cominciando a prenderci gusto in questa cosa…) e come sempre non so dirvi quando uscirà la prossima parte, che tratterà tre manga abbastanza particolari usciti all’inizio degli anni ’90 non su Weekly Shonen Jump, ma che in qualche modo sono stati influenzati dai lavori pubblicati su questa rivista… Buon 2014!
ichigo2 27 Dicembre 2013 il 18:46
Yu Yu degli spettri � forse lo shonen che pi� ho amato in passato.
ningen 27 Dicembre 2013 il 21:05
Articolo interessante come sempre. Di togashi non ho mai letto nulla, ma ad essere sincero non mi ispira nemmeno tantissimo come autore. Non me ne vogliate ma ne HxH ne Yu Yu mi dicono niente come manga, nonostante senta parecchi pareri positivi.
Discorso diverso per Fujita, di cui ho letto solo Springald, ma di cui mi piace moltissimo lo stile, sia narrativo che del disegno (possiamo dire che � uno stile unico e molto personale). Prima o poi rimedier� alle mie mancanze su questi due autori, ma il tempo � tiranno purtroppo…
aldone82 2 Gennaio 2014 il 10:19
Ciao a tutti! Complimentoni per l’articolo, stai facendo uno studio veramente approfondito su un argomento di dimensioni titaniche.
Anche io avevo conosciuto Yu degli spettri su Express, ma a chiusura della testata in formato sperimentale non l’ho pi� continuato… e gi� questo � un giudizio….
Invece per Ushio e Tora volevo scrivere un commentone lungo lungo… ma mi sono accorto che non c’era niente da aggiungere a quanto gi� da te scritto. Il manga rimane uno dei miei preferiti e sicuramente una delle stelle pi� brillanti nel firmamento dei manga, anche se in Italia non ha avuto il meritato successo, sicuramente complice una storia editoriale molto travagliata…
Ogni volta che riguardo certe tavole la lacrima scende, questo fumetto sa trasmettere infinite emozioni, lo consiglio a chiunque, soprattutto a chi � entrato nel mondo dei manga nell’ultimo decennio.
Buon anno a tutti!
Humpty Dumpty 14 Agosto 2015 il 21:41
Non posso che essere d’accordo con te: Ushio e Tora è un manga che più di una volta commuove per le storie di umani e mostri struggenti.
Sono diverse i capitoli alla quale non puoi fare a meno di pensarlo e nel finale di commuoverti: i capitoli su Juro la bestia del vento impazzita, la storia della donna delle nevi durante il viaggio di Ushio ad Hokkaido, il viaggio di Ushio indietro nel tempo per sapere di come è stata forgiata la lancia della bestia e tutta la verità di sua madre oppure il bellissimo numero dove si racconta la storia del passato di Tora e del suo legame con la lancia e la maschera bianca.
Sono solo alcune delle storie che mi hanno letteralmente fatto amare questo manga.
Humpty Dumpty 14 Agosto 2015 il 21:35
Complimenti per l’articolo soprattutto per quello che riguarda Ushio & Tora: da sempre uno dei miei manga preferiti che lessi prima con la storica Granata Press e poi con Star comics che ha il grande merito di averlo completato, mi trovo d’accordissimo con tutto quello che c’è scritto.
Nonostante fosse Ushio il protagonista ho sempre guardato a Tora come il migliore personaggio della serie sotto ogni punto di vista e quando viene raccontato il suo passato e la sua relazione con la lancia della bestia (uno dei migliori e più commoventi passaggi del manga) ne sono sempre più convinto.
Dopo di questo Fujita non mi ha mai più convinto…. Ma devo recuperare Karakuri circus da poco ristampato dalla Goen e giudicare ancora.
Per quanto riguarda Togashi e i suoi manga: non mi hanno mai appassionato particolarmente, anche io sono tra quelli che leggeva Yu degli spettri su Express e lo leggevo con piacere pur non facendomi impazzire. L’ho preferito a hunter x hunter comunque che invece ho mollato dopo pochi numeri.