Oggi vi presento una nuova aspirante scrittrice, Haru. i frequentatori del forum l’avranno già apprezzata per le sue doti artistiche, ora avrete modo di saggiare anche il frutto della sua passione per la scrittura. L’argomento potrà sembrare borioso ma è stata brava a realizzare davvero un buon articolo. Leggete e non ve ne pentirete!
Eccomi qui, col mio primo articolo su Komixjam! Sono abbastanza soddisfatta dell’argomento, dato che ha praticamente accompagnato la mia infanzia e adolescenza. Sì, lo ammetto, sono un’inguaribile romantica, per cui vi tedierò con un genere che sul sito forse non è molto “in voga”: lo shojo. Già comincio a sentire i fischi provenienti dagli spalti, ma state tranquilli; sarà una carrellata fra storia, autrici ed esempi buoni; inoltre spero con questo articolo di sfatare qualche pregiudizio legato al genere.
Iniziamo dall’etimologia e dal significato del termine, quindi. Wikipedia dice:
Con il termine giapponese sh?jo (??, sh?jo letteralmente, ragazza) ci si riferisce ad anime e manga destinati ad un pubblico femminile che va dagli ultimi anni dell’infanzia (dieci anni) sino alla fine dell’adolescenza (intorno alla maggiore età).
Qui già cominciamo ad avere una prima etichettatura, ma andiamo avanti. In Italia, specialmente, c’è una confusione di fondo che fa pensare agli shojo come manga e anime che trattano solo ed esclusivamente di tematiche sentimentali (e mi immagino già i maschietti annuire tutti soddisfatti), cosa che limita fortemente il significato vero e proprio che danno in Giappone. Gli shojo nel sol levante sono intesi più a livello di “merchandising”, quindi di target, di settori di mercato, possiamo dire. Pertanto lo shojo non è tale per i suoi contenuti, che possono essere di qualunque tipo, ma per il pubblico a cui è rivolto, cioè quella grossa fetta di ragazze pre adolescenti e adolescenti. Da bravi maniaci della perfezione quali sono, i giapponesi si sono inventati tanti altri sottogeneri per raggiungere più capillarmente nicchie ristrette di pubblico. Inoltre, ricordiamoci che gli shojo vengono letti trasversalmente da ragazze più adulte e anche da un buon numero di maschietti (guardate che vi vedo a voi ragazzi italiani, che mi state guardando con quella faccia incredula!).
Passiamo alla carrellata di storia. Il genere nasce intorno agli anni prima della seconda guerra mondiale, dove compaiono le prime vignette sulle già note riviste specializzate, come ad esempio la Shojo kai, la Shojo Sekai e la Shojo no tomo. Illustratori del calibro di Katsuji Matsumoto pubblicano lì le loro vignette umoristiche (celebre Kurukuru Kurumi-chan), ma con l’arrivo della guerra questi piccoli capolavori diventano troppo “frivoli”, per cui scompaiono presto. Dopo la Seconda Guerra c’è stato un tentativo di continuare a fare “strips” comiche, però è con l’entrata di Osamu Tezuka nel panorama fumettistico e dell’animazione che c’è una vera e propria rivoluzione stilistica. Ricordiamolo per i famosissimi Astroboy, Kimba il leone bianco, ma soprattutto la Principessa Zaffiro, che tuttora viene considerato il primo manga shojo moderno, pubblicato nel 1954 sulla rivista Shojo Club. Cosa dobbiamo al suo apporto? Tra gli aspetti più interessanti ritroviamo l’uso innovativo delle inquadrature, quasi cinematografiche, che danno forte dinamicità alle tavole, ribaltando gli standard dei manga statici dell’epoca.
Se fino alla fine degli anni ’50 e ’60 sono principalmente uomini i mangaka e animatori, a partire dagli anni ’70 in poi, invece, si ha un boom di autrici femminili. Tanto per citarne alcune: Yumiko Igarashi e Riyoko Ikeda, rispettivamente disegnatrici di Candy Candy e Lady Oscar. Gli shojo di questa prima generazione sono caratterizzati da uno stile particolarmente ricco di fiori e occhioni luccicanti e la metodologia grafica, ma anche narrativa delle autrici, influenzerà molto la produzione di quell’epoca. Le opere di questi anni sono spesso incentrate sulle disavventure di ragazze alle prese con le avversità della vita (basti pensare a Candy Candy) e sulle loro vicende amorose; non mancano di certo le eccezioni: troviamo quindi manga storici (come ad esempio Versailles no Bara/Lady Oscar), storie scolastiche (Hello Spank), ecc… e sul fronte televisivo si inizia ad attingere alla letteratura di classici per bambini, producendo alcune serie tv che potremmo quasi definire shojo-ma-non-troppo (ovvero storie che seppur non strettamente shojo, ne presentano comunque alcune peculiarità). Vi ricordate Heidi, vero?
Negli anni ’80 si avverte un cambiamento di fronte, sebbene ci sono ancora rimasugli della vecchia scuola (difatti la Akaishi – autrice di Alpen Rose – ricorda molto i tratti della Igarashi sia nella trattazione delle tematiche, che dal punto di vista squisitamente grafico). Si affermano autrici come le ormai famosissime CLAMP, innovatrici e rivoluzionarie del genere, le cui opere sono di difficile collocazione proprio per il loro miscuglio di generi, i quali spaziano dal fantasy all’azione. Molti manga di quegli anni sono diventati famosi grazie alla trasposizione animata: Kiss me Licia, Hillary, Milly un giorno dopo l’altro sono solo degli esempi. Inoltre in quegli anni si vede l’affermazione di un genere nuovo, quello delle maghette, che ha sfornato parecchi titoli e che alle spalle hanno storie tipicamente shojo. Esempi possono essere Creamy e Sandy dai mille colori, in cui magia e storie velate d’amore si fondono insieme in piccoli capolavori che sicuramente hanno segnato l’infanzia di molte ragazze.
Dopo i cambiamenti apportati dagli anni ’80, negli anni successivi si sono centuplicati. Vi è un emergere di nuove autrici, le quali hanno preso in prestito elementi di altri generi finora mai esplorati dagli shojo. Autrici come Yuu Watase (Fushiji Yuji e tanti altri) e Chie Shinohara (Anatolia Story è solo il più famoso) sono riuscire a far convergere sapientemente horror, combattimento e fantasy, cosa che prima è stata prerogativa di ben altre tipologie di manga. E come non scordare Sailor Moon della ormai celeberrima Naoko Takeuchi, la quale ha ispirato in seguito molte altre mangaka.
L’inserimento di questi nuovi elementi non proprio femminili ha avuto come conseguenza l’allargamento del target, fra cui una grossa fetta di pubblico maschile, attirati probabilmente dalle uniformi forse troppo succinte di alcune combattenti (Oh, ragazzi, che vi devo dire; io mi ricordo alle elementari alcuni maschietti a cui piaceva Sailor Moon, ma soprattutto Sailor Mars!). Sailor Moon fra l’altro è volutamente poco curato nei particolari, proprio per dare un senso di movimento e di azione molto più efficace.
Inoltre viene pensato uno shojo non più orientato verso i melodrammi di ragazzine abbandonate, ma bensì come uno specchio sulla vita di normali adolescenti giapponesi. Pertanto autrici come Ai Yazawa (Paradise Kiss, ma ancora prima Cortili del cuore e Nana) o Fuyumi Souryo (Mars) hanno trovato terreno fertile dove intrecciare le loro storie, ognuna con il proprio stile grafico, che parlano nient’altro che di normali ragazzi liceali, con i loro problemi e i loro amori. L’entrata in scena di filoni come quello “scolastico” ha avuto un seguito anche in Chiho Saito (celebre per Utena) e Wataru Yoshizumi (Marmalade Boy e molti altri), le quali non hanno comunque tagliato definitivamente i ponti con il passato “classico”, creando invece delle vere e proprie saghe a cui Beautiful farebbe un baffo.
Concludo avvisando che comunque le autrici che ho citato e le loro opere sono solo alcuni capisaldi del genere. Ce ne sono mille altre che non hanno avuto il tempo né lo spazio adeguato di approfondimento, pertanto mi scuso in anticipo e spero di poterne parlare magari in altri articoli.
Mi rivolgo ora ai ragazzi e alle ragazze del sito, a cui rilancio con una domanda: ora che avete letto quest’articolo, siete ancora sicuri che i vostri pregiudizi siano fondati?
Turion 15 Novembre 2010 il 15:34
Complimenti, letto tutto d’un fiato. Scrivi meravigliosamente *-*
“”(guardate che vi vedo a voi ragazzi italiani, che mi state guardando con quella faccia incredula!). “” http://www.komixjam.it/wp-includes/images/smilies/silly.png
karakatoa 15 Novembre 2010 il 15:35
bellissimo articolo solo che pur concordando con Haru in linea di principio non riesco proprio a farmi piacere il genere cmc complimenti continua cosi che sei grande
FlavioTruegua87 15 Novembre 2010 il 16:23
brava bell’articolo =)
LiSa 15 Novembre 2010 il 16:49
eheh… bell’articolo comunque io non avevo dubbi sul genere visto che mi piace molto! essendo onnivora ho letto e leggo un po’ di tutto: sh?jo, josei, seinen, sh?nen… anche se sono partita da quest’ultimo al quale tendo ancora molto ^-^
Conte 15 Novembre 2010 il 17:03
ehm… ammetto di essere stato tra i maschietti a cui piaceva Sailor Mars… ed effettivamente guardavo Sailor moon solo per guardare le trasformazioni… della Mars e della Jupiter in particolare. Sapevo gi� dell’esistenza di vari tipi di Shojo, e ne ho letti anche alcuni (Fruits Basket, Chobits, Host Club… anche se ne � quasi una parodia), ma rimango comunque piuttosto restio a cimentarmi nella loro lettura. Non tanto per le tematiche, anche perch� alcune sono importanti, ma per come vengono affrontate, temo sempre che ci sia il rischio di cadere nella banalit� e nel prevedibile, ovviamente questo accade anche con gli Shonen, non crediate… (gli Shonen sono tipo Naruto e company, vero?). In conclusione io leggo qualsiasi storia mi ispiri, a prescindere dal genere… inoltre molti degli anime che hai nominati li ho guardati durante la mia infanzia.
Asharis Kai 15 Novembre 2010 il 17:34
Bene,bene,bene,bene, bene.
Premessa: Conosco la nostra cara Haru, quindi eviter� di fare lusinghe, commenti blandi, complimenti a profusione e perch� no, applausi virtuali che possano farla sentir contenta e brava scrittrice o recensionista o dibattista o komixjamgiornalista perch� le sue righe parlano da sole e da sole dimostrano tutto ci� che ho detto che non far�. Da buon contorsionista delle parole ti ringrazio dal profondo per avermi concesso un’ottima lettura approfondita che non tratta delle solite banalit� bens� va a toccare anche le minuzie relative al ruolo dello Shoujo sul Mercato.
Ma mi oppongo.
Mi Oppongo all’avvalorazione dello Shoujo come qualcosa che ti pu� toccare.
Da maschilista anti sailor Moon, Utena (se ne stiman per� i disegni) ,chipi�nehapi�nemetta,OrangeRoadcompreso, io, mi oppongo.
Mostrano s� tante belle cose lodevoli e quant’altro per carit� ma vogliamo mettere con il buon , vecchio e sano tradizionalismo nipponico e i suoi Shonen? Hokuto No Ken, Vagabond, Berserk, Devil Man e via dicendo per non citare le versioni precedenti seppur futuristiche saghe dei robottoni vero? Sottolineaiamo, saghe del calibro di Voltron che per gli anni correnti adottava uno stile di colorazione da renderlo ancor pi� moderno di quanto non fosse anche a livello televisivo. Vogliamo parlare delle versioni pi� moderne? Ecco, s�, parliamone.
Ed esigo un tuo articolo u.u Da lettore, io, lo voglio u.u
Altrimenti dir� no agli Shoujo per sempre e chieder� una lobotomia perch� maremma cane so a memoria tutte le sigle degli Shoujo trasmessi in italia….
Ridatemi Capitain Tsubasa e Vultus 5 �_�
Rapsodia 15 Novembre 2010 il 17:40
Bella rassegna per un genere forse troppo bisfrattato da noi “maschietti”. Kimi Ni Tidoke la trovo una cosa davvero adorabile (per non parlare di Chobits, che non ho ancora finito di vedere dopo un anno e pi� che ho incominciato a vederlo, eh vab� XD). Personalmente ho gradito anche Lady Oscar e Kakan No Madonna (la Madonna della Ghirlanda), anche se questi due pi� per l’ambientazione storica che per l’elemento shojo. L’importante credo sia, come sempre, non esagerare n� con le sdolcinatezze (i protagonisti che arrosiscono decisamente troppo spesso) n� col fattore “figaggine” (certi protagonisti sono davvero improponibili tanto sono “perfetti”).
Conte 15 Novembre 2010 il 17:48
Credo che i “protagonisti improponibili tanto sono “perfetti”” si possano definire Mary Sue, per le ragazze, e Gary Stu, per i maschietti.
Conte 15 Novembre 2010 il 17:49
Credo che i “protagonisti improponibili tanto sono “perfetti”” si possano definire Mary Sue, per le ragazze, e Gary Stu, per i maschietti. Comunque per Chobits ti consiglio di leggere il manga invece di guardare l’Anime, personalmente lo ritengo migliore.
Rapsodia 16 Novembre 2010 il 16:51
far� anche quello 🙂
Shishimaru 15 Novembre 2010 il 18:15
Bell’articolo,nulla da dire 😀
Yamato 15 Novembre 2010 il 18:54
Da persona che segue attentamente gli shojo, il problema del “genere” (pi� target che genere) � che il livello, ormai, � troppo basso: troppo poche le eccezioni e le opere ben riuscite rispetto a quelle tutte irrimediabilmente uguali (ed improponibili) che escono. Dopo gli anni ’90 (anni d’oro del genere) vi � stato un calo drastico e, sinceramente, ultimamente di manga ancora in prosecuzione (o terminati da poco) sono riuscito a seguire – in quanto piccoli gioiellini – solo “DNAngel”, “Ouran Host Club”, “Kimi ni Todoke”, “Lovely Complex” e “Bokura ga ita”. Il resto, per quanto carino, era decisamente troppo piatto e monotono… insomma, trovo che dopo la fine del meraviglioso “Le situazioni di Lui e Lei” – ultimo esponente degli anni d’oro – vi sia stato un calo un po’ drastico della qualti� degli shojo, a fronte di un miglioramento generale per gli shonen ed esponenziale per il “genere” seinen (che ha reso pi� acuto il fenomeno, di conseguenza).
Haru 16 Novembre 2010 il 00:30
Innanzitutto ringrazio Shikaku per aver postato l’articolo XD ghghgh non mi aspettavo cos� tanti commenti positivi!
Comunque sia, per rispondere a Yamato; mi rendo conto che nel panorama odierno sono veramente pochi gli shojo degni di questo nome e molto spesso si cade nel banale o nel solito polpettone trito e ritrito. Io, purtroppo e per sfortuna, appena entro in fumetteria, la prima cosa che mi salta subito agli occhi � il disegno. Se � ben fatto dal punto di vista stilistico e meramente grafico, allora sfoglio la trama e forse lo prendo, altrimenti lo lascio l�. E’ probabile che mi lasci sfuggire molti titoli e chiedo il mea culpa agli amanti del genere XD
Il peggio magari sono le serie che all’inizio promettono bene e poi scadono alla fine (Parfait Tic � un esempio… =.=”).
Sogeking 16 Novembre 2010 il 23:25
Ammetto… ne ho letti pure io alcuni… e mi sono anche molto piaciuti! mi sono allontanato dal genere perch� le trame mi sembravano sempre molto simili a parte rari casi di belle idee. Marmalade Boy di Wataru Yoshizumi mi sorprese davvero molto e credo sia il miglior titolo del genere che ho avuto fra le mani. Se qualcuno ha qualche consiglio da darmi proverei volentieri a leggere di nuovo uno shojo
Jacques Mate 17 Novembre 2010 il 21:19
Sebbene apprezzi il buon lavoro storiografico sul genere non ho trovato una buona ragione per apprezzarlo pi� di quanto non faccia. Che vi sia una tradizione non � una scoperta, anche il Grande Fratello ne ha una, ormai, se si capisce quanto io intenda…
E’ corretto affermare che la tematica sentimentale in alcuni Shojo non vi sia pi� di quanta non ve ne sia in Berserk (nonostante questi si contino sulle dita di una mano), ma per quanto mi riguarda il mio parere rimane pressoch� inamovibile: mi dispiace ma le artiste donne, con la rara eccezione della sceneggiatrice Ohba, hanno dimostrato in tutti gli esempi che ho avuto sottomano (o meglio, sott’occhio) di non saper assolutamente costruire personaggi maschili minimamente credibili. E nei rarissimi casi in cui vi riescono non reggono il confronto con i colleghi maschi.
Per ‘credibile’ intendo non il personaggio fantastico che vanno a creare nelle sue caratteristiche intrinseche ma in quei tratti distintivi che contraddistinguono un maschio, non importa che tipo di carattere abbia. Per far un paragone all’inverso, anche la donna pi� ‘maschiaccio’ che esista ha un lato evidentemente femminile che risalta, anzi, emerge perch� � la base costitutiva del suo essere.
E’ molto difficile spiegarmi e non ho purtroppo nemmeno esempi che possano indurre ad un’omnicomprensione dei concetti che voglio esprimere, ma quel che mi giunge spontaneo dire � che anche quando vogliono rappresentare dei maschi (magari anche effeminati), le artiste non rappresentano mai dei maschi, ma dei ‘donni’. Sono donne nel corpo di un uomo, un uomo in tutto e per tutto, ma solo fisicamente.
E questo non � un problema da poco.
Sogeking 17 Novembre 2010 il 22:33
Hai perfettamente ragione… le figure maschili che vengono proposte sono surreali
Ranmamez 20 Novembre 2010 il 18:51
Bello il disegno, da dove viene? Immagino sia un’illustrazione…