Eccoci di nuovo con la nostra complicata questione riguardante l’economia dell’animazione (trovate le prime due parti negli articoli suggeriti)… e oggi parliamo di una cosa importantissima, il pubblico. Torniamo quindi a parlare di soldi… ma ci occupiamo adesso del cliente, non del produttore.
Gli otaku, (non è errato definirli tali; ma vorrei sottolineare l’importanza di conoscere bene il significato di questo termine e il fatto che viene usato soprattutto come dispreggiativo… da sempre, se qualcuno mi definisce tale mi sento in dovere di sentirmi insultato e rispondere; non siate otaku, siate “appassionati”), comprano: il solo fatto di possedere personalmente un prodotto la cui qualità audio/video è garantita e per certi versi il massimo che l’attuale uomo comune si può permettere, soddisfa pienamente le necessità di ogni collezionista. Spesso sono anche più decisive le scelte fatte in ambito di distribuzione del prodotto, della pubblicità, della composizione del pacchetto e la presenza dei contenuti extra a garantire un numero sufficientemente alto di prevendite da considerare la serie un bestseller.. la qualità della serie potrebbe passare anche in secondo piano! Inoltre, a differenza di quello che si potrebbe pensare, abbassare il prezzo dei BluRay non è servito in alcun modo ad aumentare le vendite, risultando essere quindi solo una perdita di denaro per lo studio di animazione. Il mercato dei BluRay ci garantisce che stagione dopo stagione troviamo anche trenta, quaranta addirittura, serie che iniziano e che ci si presentano consumabili anche a noi spettatori occidentali in maniera del tutto gratuita, perchè senza studi di produzione non ci sarebbero anime, e senza dischi non ci sarebbero studi di produzione. Tutto il mondo guarda anime, eppure solo il Giappone li paga: questo accade soprattutto perchè questo complesso mercato, fatto di strani equilibri e dinamiche difficili da afferrare, guarda con diffidenza all’estero. Spesso l’adattamento di questi prodotti non viene accomodato da una disponibilità all’esportazione da parte dello studio di animazione, che addirittura possono temere di perdere clienti in Giappone permettendo che i loro prodotti vengano venduti anche all’estero a prezzi spesso molto più bassi (spesso le distribuzioni in Occidente possono mantenere il doppiaggio originale). Per questo, spesso, contenuti speciali, OAV, accessori di ogni sorta non vengono mai inseriti nelle versioni importate e adattate di anime (uno dei casi più recenti è la “serie completa” di Another venduta negli USA, che non prevedeva fin dall’inizio l’episodio Zero), in modo che la qualità e appetibilità dei prodotti venduti all’estero non sia pari a quella delle versioni distribuite nella loro terra di origine. Eppure, dopo tanti anni, finalmente sembra che qualcosa si stia muovendo, e che il mercato dell’animazione giapponese cominci a vedere l’Occidente come una terra di possibili guadagni.
Lo abbiamo sperimentato recentemente con i Simulcast di Silver Spoon, Gatchaman Crowds e Day Break Illusion (perchè siano stati scelti questi titoli ad oggi ancora non mi è chiaro) della stagione estiva 2013: pochi giorni dopo che gli episodi venivano mandati in onda in Giappone era possibile trovare, accuratamente sottotitolati in italiano, questi anime in streaming sul sito della Popcorn TV. La Yamato Video ha deciso di lanciarsi (non senza polemiche) nella rischiosa decisione di rilasciare il suo materiale in modo gratuito su YouTube. Tuttavia siti come Crunchyroll e Funimation forniscono questo servizio da molto più tempo, era quindi destino che i simulcast e lo streaming legalizzato arrivassero da noi; guardo a questa “novità” come un assaggio di un futuro che in qualche modo è precipitato in mezzo a noi. Perchè è vero che in Occidente, e in Italia, la cultura del collezionismo e dell’acquisto del prodotto, nel campo dell’animazione non è diffusa; anzi, stando a quanto dicono coloro che lavorano nel settore, si riesce a malapena a guadagnarsi da vivere, ed è un campo in cui non è nemmeno facile trovare lavoro perchè queste aziende non cercano appassionati, ma personale competente… perchè gli appassionati sono “schizzinosi“. Comunque, non essendoci questa cultura del collezionismo, ma essendoci comunque la passione per l’animazione giapponese, l’Occidente per anni ha guardato episodi su episodi senza pagare per il prodotto consumato. Quello che si paga, invece, per la visione in streaming degli episodi di anime in corso e non, è un prezzo infimo rispetto al costo dei dischi: su Crunchyroll per accedere ai simulcast in alta qualità si spendono 8.99 Dollari al mese, nemmeno 7 Euro, e di questi soldi possiamo star certi che ne arrivano agli studi di produzione. Che sono pochi, ma sono sempre meglio di niente. Oggi come oggi la maggior parte delle persone con buona comprensione dell’inglese hanno abbandonato il download di episodi subbati da gruppi di fan, e guardano le serie in corso via streaming, magari anche senza troppa fretta, sebbene le serie non restino disponibili per sempre (presto o tardi questi siti rimuovono le serie dai palinsesti, soprattutto quando viene avviata la distribuzione in BD/DVD). Il successo di Crunchyroll è tale che presto verrà aperta una sezione francese. Ma tutto questo è andato a confrontarsi, e causare uno scontro, con la cultura dei fansub, che sta lentamente diventando un fenomeno di nicchia.
A questo punto è importante parlare della sottocultura dei fansub, perchè in tutta questa questione hanno un ruolo “principale”… nel senso che non è possibile dimenticarsi del loro apporto alla diffusione degli anime nonostante molti si stiano convertendo allo streaming legalizzato. Anche perchè la maggior parte delle serie “interessanti” presto o tardi viene acquistata dall’Occidente (spesso gli USA) e il problema dei diritti diventa improvvisamente di tutti, sebbene sia oramai dimostrato che il Sud America e la Russia fagocitano prodotti anime ma ne importano pochissimi. L’aspetto centrale della faccenda, ancora complessa e piena di controversie, è che nonostante sia chiaro sotto svariati aspetti che lo stesso atto del fansub è un reato, non è possibile ignorare il fatto che siano stati questi a permettere la diffusione degli anime in Occidente, e che proprio in virtù del fatto che il loro operato è illegale non hanno mai potuto permettersi di guadagnare (troppo) sulle loro prestazioni. Perchè i siti di diffusione di episodi fansubbati spesso non pagano, e non sono tenuti a pagare i gruppi di fansubbers, che a loro volta non riescono in nessun modo a controllare la diffusione del loro prodotto. Molti si proteggono con la convenientissima affermazione che, determinate serie, che non sono state e mai verranno adattate in Occidente possono essere distribuite perchè non violano nessuno degli articoli delle leggi sui diritti di copyright, ma commettono a loro volta un errore di presunzione, non valutando troppo le conseguenze dei loro atti, poichè il fansub stesso consiste sostanzialmente nell’alterazione di un prodotto di cui non si godono dei diritti, e il fatto che nessuno verrà per infliggere una punizione, non vuol dire che l’atto non possa essere concettualmente errato. Le leggi per la tutela dei diritti, soprattutto dei beni informatici, sono ancora in fase di studio e sono una questione complessa di cui non voglio parlare quest’oggi. Non bisogna dimenticare inoltre, che:
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difficilmente un appassionato di anime acquisterà la versione del suo prodotto preferito se ha possibilità di procurarselo a costo zero attraverso download ancor prima che venga confermato l’adattamento;
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la presenza di fansubbers, di coloro che si sono accollati la missione di adattare anime a tempi di record “perchè i fan Occidentali lo vogliono“, ha anche aiutato a sviluppare quella cultura di usa e getta che contraddistingue molti di noi appassionati di animazione (e sebbene sia uno dei primi a farlo, ricordo che non è corretto lamentarsi per la qualità di un prodotto che si è consumato gratuitamente);
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il fenomeno dei fansub che ha reso globale il fenomeno degli anime in Occidente ha anche portato coloro che finanziano gli anime (e non lo studio di animazione) a premere per la produzione di materiale in abbondanza ma di scarsa qualità (riducendo anche il denaro investito). Quest’effetto del fansub sul mercato anime giapponese è ancora causa di lunghe discussioni;
- spesso i gruppi di fansub sono stati attaccati per il loro lavoro di adattamento, come la famosissima frase “se uccidi una persona quella muore“, da persone che 1) dovevano essere appassionati di anime, altrimenti non avrebbero notato queste espressioni 2) che non conoscono le difficoltà di traduzione di alcune espressioni che possono fare parte di una lingua e una filosofia di vita così diverse dalle nostre. Questa espressione è talmente comune che mi ha sempre fatto pensare a un modo di dire molto simile alle “nove vite dei gatti“. Eccovene svariati esempi. Ciò non toglie comunque che ci siano degli incompetenti anche fra i traduttori (o quelli che usano Google Translator), perchè dopo anni e anni di serie viste in fansub, il significato di alcune espressioni ridondanti mi è rimasto così impresso che non ho bisogno dei sottotitoli per capirle.
Quest’oggi molti gruppi di fansubbers sopravvivono grazie ai sostenitori di questo tipo di modalità di consumo: io sono uno di quelli che consuma, come già sapete, un elevato numero di serie anime fansubbate perchè non mi limito a guardare solo le serie in corso (che potrei guardare tranquillamente in streaming), sostenendo questo tipo di fenomeno, e non posso negare di sentirmi in qualche modo “complice” (guardo anime sottotitolati dal 2002, la prima serie che ho avuto per le mani è stata Love Hina). Ancora oggi tuttavia preferisco e trovo più gratificante spendere in manga. I vari gruppi di fansub poi, o la maggior parte di quelli che conosco, formano in qualche modo delle sottoculture a parte, con le loro masse di fan e sostenitori che esaltano la qualità delle traduzioni e la scelta nell’uso dei font rispetto a quelle operate da altri gruppi… credo che adesso potete capire tranquillamente perchè non mi mescolo eccessivamente, e porto un certo odio, alla fandom moderna. Tutte queste piccole insignificanze sono fondamentali a questi gruppi per mantenere una parvenza di identità e restare attaccati alla propria missione, ed è in qualche modo un’attività divenuta sterile. Se una volta le case di distribuzione potevano odiare i fansubbers oggi li tollerano senza alcun problema, perchè a differenza di dieci anni fa oggi il fansub (come vi ho spiegato) non è l’unica scelta disponibile per l’appassionato. Svariati fattori impediscono inoltre ai fansubbers amatoriali di trovare lavoro nel campo dell’adattamento, magari fornendo il loro lavoro come punto di partenza, sia per i motivi legati al possesso dei diritti, sia per le scelte che le aziende possono fare. Innanzitutto i fansubbers fornirebbero del materiale adattato senza permesso dal detentore dei diritti, che potrebbe immediatamente denunciarli; secondo, come già ho avuto modo di anticipare, essendo perl’appunto “fan” e non professionisti, alcune delle loro scelte in fatto di traduzione e/o adattamento potrebbero non essere in linea con le scelte dell’azienda che ha deciso di distribuire l’anime. Questo perchè tante volte coloro che fanno questo lavoro a livello amatoriale sono a loro volta appassionati: e gli appassionati non sono professionali. Ci sono, inoltre, alcune difficoltà tecniche dovute ai formati video e i supporti tecnici che vengono usati: laddove è innegabile che spesso il formato video fansubbato non è neppure lontanamente paragonabile a qualità per il prodotto su disco, ci sono tanti problemi di compatibilità da affrontare tra supporti video che rendono il lavoro di adattamento un calvario. Lo stesso inserimento dei sottotitoli nei DVD/BD da parte delle aziende giapponesi è visto ancora oggi come un azione che non vale il tempo speso, perchè vi sarebbero complicazioni legate sempre ad aspetti tecnici, e su questo fronte non sembra si stia muovendo qualcosa. Vorrei potervi fornire molte più informazioni sul dilemma tecnico causato dall’uso quasi globale del formato video h.264 10-bit, ma si tratta di un campo in cui sono privo anche delle conoscenze basilari, e mi sono limitato ad accettare il fatto che, un atto così semplice come inserire una scritta in “stile karaoke” in un video, sia in realtà qualcosa di molto più complesso. Avevo previsto di integrare quest’ultima parte sul fansub chiedendo a un certo gruppo di fan/subbers anime italiani, per discutere su vari aspetti del loro lavoro, ma non si sono degnati neppure di rifiutare la mia proposta. Che vadano pure a quel paese (e questo sancisce la mia rottura definitiva con i sub in italiano).
Avviamoci quindi verso la conclusione di questa serie di “brevi” approfondimenti che rappresentano un po’ la sintesi di quelle che sono le svariate conoscenze che negli anni (soprattutto gli ultimi) ho acquisito. A quelli che mi potrebbero rispondere con un castrante “ma tanto a noi non interessano queste dinamiche di mercato” rispondo più o meno come avrei voluto rispondere a quel gruppo di fansubbers italiano. Anche senza scendere così nel dettaglio credo che avere qualche informazione in più su questa società sempre più globalizzata non possa mai costituire un danno, anche perchè il successo dell’animazione giapponese in Occidente è un dato di fatto, e nessuno può negarlo. Siamo consumatori anche noi, e qualcosa si sta muovendo, come vi ho voluto spiegare in questa terza parte, e anche noi cominciamo a essere visti come clienti paganti grazie allo streaming. Certo, tanto deve essere ancora fatto, ma già la sola constatazione che il mercato anime giapponese, così chiuso e iper-protetto, inizi a guardare all’Occidente potrebbe essere la svolta decisiva per la produzione di serie che siano in qualche modo, anche di nostro pieno gradimento, senza per questo risultare occidentalizzate nel processo. Fino ad allora però dovremo accontentarci di quelle “serie che sono tutte uguali” o che sono “per pervertiti” cominciando però ad attivarci e crescere tutti noi come spettatori, e accettare il fatto che, come in queste seimila parole circa ho ampiamente spiegato, in fondo si tratta di una questione di soldi e come quindi sia un diritto sacrosanto di questi studi produrre serie che vendano, al costo di fare un lavoro di copia incolla. Perchè queste persone lavorano per portare il pane a casa, non per accontentare con uno stipendio da fame e nessuna gloria milioni di fan che si limitano a scaricare, vedere, e criticare (senza criterio). Come in tante cose è sempre più necessario diventare consumatori intelligenti, sapere cosa guardare in base a quelle che sono le proprie necessità, e tenere presente che non è assolutamente una vergogna pagare per vedere. (Il precedente Answerman, Brian Hanson, uno dei miei “maestri concettuali”, sebbene non apprezzasse la “moe generation” non ha mai denigrato in alcun modo questo genere di anime, neppure chi li ama e segue con passione.)
Credo che questa sia la fine. Ringrazio tutti coloro che hanno apprezzato questo mio invito ad immergersi in un mondo complesso, dominato da regole che ancora oggi non mi è dato comprendere appieno, ma che come appassionato in primo luogo trovo sempre interessanti. Alla prossima, sempre su Komixjam (se avete dubbi chiedete pure; sarò a Lucca per tutta la durata della fiera, quindi potreste decidere di fugare i vostri dubbi chiedendomi chiarimenti di persona).
TheAster 18 Ottobre 2013 il 21:33
Ottimo lavoro anche qui, ma mi domando una cosa: visto che gli anime ormai sono conosciuti dal 90% della popolazione e molto apprezzati, perch� non si crea un servizio di streaming apposta, un po’ come steam? Senza alcun supporto fisico per la vendita, basterebbe soltanto pagare un abbonamento mensile o annuo, o solo le serie che si vuole vedere, cos� ognuno avrebbe un database personale online a cui potrebbe accedere in qualunque momento e su ogni dispositivo multimediale.
Regola 18 Ottobre 2013 il 21:54
Credo che le difficolt� nella creazione di una piattaforma anime come steam consistano nel mettere d’accordo tutti gli studi di animazione, e fare in modo che tutti (o la maggior parte) siano disposti ad adattare i loro prodotti a questa nuova realt� (che pu� consistere nel doppiaggio, tema che non ho affrontato, o anche nella garanzia di sottotitolare in svariati linguaggi).
Il secondo problema � sempre quello: l’industria dell’animazione nipponica non riesce a distaccarsi dalla vendita dei dischi, che da soli riescono a tenere in piedi il mercato (non possono rischiare neppure di concedere tali concessioni all’Occidente, proprio per non perdere clienti in Giappone). Vorrei sottolineare come il “tecnologico” Giappone sia ancora indietro riguardo a legislatura e vendita di prodotti informatici: il settore della musica � in crisi, e le vendite in stile iTunes non riescono a decollare, perch� i Giapponesi vogliono “toccare con mano”.
Di sicuro, una piattaforma del genere per i titoli vecchi (pi� di quattro anni) sarebbe indubbiamente interessante, e meno problematica per il fatto che (come dicevo nelle parti precedenti) dopo quattro anni si pu� dire che le serie hanno fruttato la maggior parte degli introiti che potevano. A una realt� del genere accederei senza pensarci neppure per un secondo.
Francesco Romani 8 Novembre 2016 il 01:40
“Vorrei sottolineare come il “tecnologico” Giappone sia ancora indietro riguardo a legislatura e vendita di prodotti informatici: il settore della musica è in crisi, e le vendite in stile iTunes non riescono a decollare, perchè i Giapponesi vogliono “toccare con mano”.”
Ah, però!
ningen 19 Ottobre 2013 il 13:31
Articoli molto interessanti questi. Fanno ben capire cosa c’� dietro alla produzione di un’anime e al nostro fruimento (attraverso dvd/bluray streaming o fansub pi� o meno professionali).
Ultimamente a parte qualche serie, ho drasticamente diminuito la visione di anime subbati, vuoi perch� non li reputo di qualit�, vuoi perch� in fondo ne godiamo gratis e non dovremmo nemmeno troppo lamentarci (come invece facciamo, me compreso).
Comunque riconosco che in certi casi, il fansub � l’unico strumento per far conoscere un certo tipo di anime che altrimenti non si inculerebbe nessuno. I primi che mi vengono in mente sono Akagi e Kaiji (ancora li devo vedere ma spero di rimediare) ma ne esistono altri meritevoli ma poco conosciuti. Il tema � comunque complicato e spinoso ed � difficile decretare cosa � giusto e cosa non lo �.
Francesco Romani 8 Novembre 2016 il 01:39
Si, però hanno portato anche robaccia di cui non se ne sentiva affatto il bisogno! XD
CorNix 20 Ottobre 2013 il 20:24
Sono stati articoli molto interessanti per “consumatori di anime” ( 😈 shinigami 👿 ) come me, soprattutto quest’ultimo!
wask 22 Ottobre 2013 il 18:22
bell’articolo. d’ora in poi guarder� gli anime da tutt’altro punto di vista.
la cosa che mi lascia abbastanza perplesso � la chiusura ossesiva dei nipponici. dovrebbero veramente mettersi assieme e discutere su un modo efficiente per vendere i loro prodotti all’estero. l’economia giapponese non � nelle migliori acque, e un modo per rialzarsi sarebbe proprio quello di una migliore gestione di questa grande risorsa che � il mondo anime-manga. � ironico che proprio un anime della stagione in corso “outbreak company” tratti proprio di questo.
Francesco Romani 8 Novembre 2016 il 01:36
Guarda, i giapponesi sono un mistero da questo punto di vista. Ricordi di come hanno concesso la distribuzione nel corso degli anni di varie serie agli americani nel mondo con risultati astrusi °_O?!?
Francesco Romani 8 Novembre 2016 il 01:33
Interessante la prima parte. Ho trovato invece noiosa la seconda.
” ricordo che non è corretto lamentarsi per la qualità di un prodotto che si è consumato gratuitamente”
Giusta osservazione.