Lo ricordo come se fosse ieri: la fine dell’estate del 1987, la poca voglia di tornare a scuola, il divieto tassativo a non poter più stare tutto il giorno fuori, a giocare con gli amici, perché da noi, in quegli anni, la fine d’agosto segnava quasi sempre il ritorno dell’autunno (non come quest’anno che l’autunno è già tornato a Ferragosto!). E quindi ci si cominciava a rinchiudere in casa, si passava il tempo a giocare ai videogiochi (a quel tempo c’erano l’Atari, il Commodore 64 – a cassette! – e l’Amiga), a giocare con le costruzioni (le mitiche Plastic City… le Lego erano un prodotto elitario) e a guardare la TV, che a quei tempi era in pieno “boom” delle serie animate, grazie anche alla presenza, quasi virale, di reti televisive private che, non si sa come, riuscivano ad accaparrarsi, probabilmente senza pagare i diritti, una quantità tale di serie animate da far impallidire il quasi totale predominio di Rai e della nascente “Mediaset” (che a quei tempi si chiamava Fininvest).
Ricordo come una mattina, solo a casa (mia madre, in quanto maestra di scuola elementare, allora si chiamava così, e non scuola Primaria, era già costretta a recarsi a lavoro per le programmazioni annuali), annoiato perché non avevo nulla da fare, mi misi a fare zapping sul mio televisore, un vecchio Panasonic senza neanche il telecomando, fino a giungere su una di quelle reti private tanto prolifiche in quegli anni, e lì bloccarmi, incantato dal programma che stava per iniziare. Ora, dovete sapere che nella mia vita le “coincidenze” (anche se io non credo esistano) hanno sempre determinato, nel bene e nel male, le mie scelte e i miei interessi. Fu una coincidenza vedere un film, “L’Alba dei Morti viventi”, una sera d’estate, a spingermi ad acquistare, qualche giorno prima il primo numero di “Dylan Dog”, che recava lo stesso titolo, e a lanciarmi nel mondo del fumetto. Fu una simile coincidenza quella che, una settimana prima mi offrì la possibilità di ammirare, sulla medesima Tv privata, un gioiello della filmografia australiana, “Interceptor” (Mad Max), trampolino di lancio per l’attore e regista Mel Gibson, pellicola ambientata in un mondo che era “andato avanti” dopo un non ben identificato conflitto, con una scenografia fatta di deserto, macerie e cittadine sperdute e solitarie, e che quella mattina di settembre mi tenne incollato allo schermo ad osservare questa sigla:
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Il primo episodio di Ken il Guerriero che mi capitò di vedere non fu il primo (ahimé, per quello dovetti aspettare anni!) ma il secondo: “Fante di Picche”. Credo che questo episodio sia, a buon titolo, quello che presenta meglio il personaggio: introducendo i due comprimari, Burt e Lynn, fedeli compagni di Ken nel suo lungo viaggio e mostrando, per la prima volta, il famoso “dito nelle tempie”, quello a cui seguiva la mitica frase “Tra 3 secondi morirai!”, l’episodio proietta lo spettatore (un bambino di appena 10 anni, a quel tempo) nel “mito” della storia del Guerriero di Hokuto, fornendo tutti gli spunti “principali” che permettono di innamorarsi delle sue vicende. Per me, la visione di quell’episodio segnò un punto di non ritorno: abituato come ero stato, fino ad allora, ad anime robotici alla Go Nagai, fortemente edulcorati e resi più masticabili ad un pubblico infantile (voi lo avete mai letto il fumetto originale di Getter Robot? NO? Buon per voi, altrimenti pensereste che Nagai sia un folle omicida!), o di storie “leggere” e piene di sentimento, come “L’Ape Maia”, “Mimì”, “Belle & Sebastien”, “Charlotte” (anime davvero disgustoso) o il sempreverde “Remì”, vedere delle immagini che, nonostante la pietosa censura del “sangue luminoso”, o i tagli ad effetto per non mostrare le morti più cruente, spiattellavano, senza mezze misure, il concetto di violenza e di morte in maniera tanto esplicita (Dragonball c’era già, ma la prima serie, quella con Goku bambino, era qualcosa di completamente differente sul piano del realismo), mi spinse ad appassionarmi ad una forma di intrattenimento, quella dell’animazione giapponese, che mi sembrava, a quei tempi, fornire molte più “risposte” di quanto Film o Serie televisive avrebbero mai potuto darmi.
Credo che più degli anime robotici (comunque i miei preferiti, senza ombra di dubbio) o di altri “miti dell’animazione”, Ken sia stato il mio vero e proprio “battesimo del Fuoco”, la pietra miliare che segnò la mia totale dedizione al mondo del fumetto in generale e dell’animazione in particolare, non solo sul piano del semplice “piacere”, ma anche su quello della “comprensione”. Mi spiego: ai tempi in cui Ken veniva trasmesso per la prima volta, si organizzavano “riunioni” casalinghe con i compagni di scuola per seguire gli episodi e, alla fine della trasmissione, inevitabilmente, scoppiava la “rissa”, e parlo di rissa vera, con mosse di combattimento e tutto. Ciononostante, non ricordo una sola volta che, durante uno di questi incontri, uno di noi si sia fatto male o si sia disseminata la distruzione da Tifone classe 5 in una casa: semplicemente, a quei tempi, il seguire questo genere di programmi non era una attività a puro appannaggio dei “bambini”, ma anche dei genitori: ricordo che la prima volta che mia madre vide l’episodio in cui Bulma mostra la sua “cosina” al Genio delle tartarughe, si fece una mezza risata e disse “Che guaio che abbiamo passato!”. E non vi dico che reazione ebbe alla prima esplosione di un cranio in Ken il Guerriero! Ciononostante, nessuno mi vietò mai di guardare questo anime e, anzi, in qualche modo sapevo di essere seguito nella sua visione ed ero conscio di poter contare su un supporto “esplicativo” da parte dei miei nel caso ci fossero state “scene” troppo forti o situazioni poco comprensibili per un bambino. E forse è stata proprio questa attenzione, una sorta di “tacita spinta” a perseguire nel mio intento di fare da spettatore a queste “meraviglie animate”, a fornirmi, col passare degli anni, gli strumenti adatti a discernere il bene dal male, ad acquisire un concetto di “giustizia” che mi fa ribollire il sangue quando vedo anche solo qualcuno che butta una cicca di sigaretta per strada. E Ken il Guerriero, più di ogni altro, mi ha insegnato a comprendere, nettamente, quale sia il confine tra Realtà e Fantasia, tra ciò che è Eticamente giusto e ciò che è sbagliato, marcando nettamente quella linea di separazione che, spesso e volentieri, al giorno d’oggi, viene superata dalla gente nei modi più svariati da farti chiedere se gli esseri umani, una capacità di discernimento, ce l’abbiano ancora. Ma questo è un altro discorso, che magari un giorno riprenderò.
Qualche anno dopo la serie animata, la mazzata definitiva me la diede la Granata Press: casa editrice a cui si deve il merito di avere, oggi, colossi come Planet Manga e Starcomics, che sfornano manga come se fossero cornetti caldi al bar della stazione centrale, la Granata fece il colpaccio e nel 1989 (o almeno così mi pare) iniziò a pubblicare, in Tankobon microminimalisti, le vicende del Guerriero dalle Sette Stelle, una edizione che, credo, andasse a ruba (io facevo una fatica colossale a recuperare i numeri!) e che mi diede quel “colpetto” definitivo che, semmai ne avessi avuto bisogno, mi avrebbe portato ad avere una collezione di fumetti di circa 8000 albi (ad oggi!), e scusatemi se è poco.
In sostanza, credo di dovere tanto (molto!) a Ken il Guerriero, e ai suoi autori: senza una storia così forte, così nettamente in contrapposizione con tutto ciò che ci era stato propinato fino ad allora, credo che noi “bambini” dell’epoca avremmo sempre aspettato di vedere una “Anna dai Capelli Rossi” che ci faceva l’occhiolino dallo schermo televisivo e non avremmo mai compreso quanto forte, importante e fondamentale sia il concetto di “animazione” nella cultura Giapponese. E credo che lo stesso Ken abbia segnato il passo per il futuro, avendo ripercussioni fino ai giorni nostri, modificando, in un modo tutto suo, le tematiche shonen e, probabilmente, influenzando anche la cultura fumettistica e dell’animazione del resto del mondo. Per cui, visto che ho avuto l’onore, e l’onere, di chiudere questa giornata di celebrazioni per il manga di Buronson e Tetsuo Hara che, 30 anni fa, il 13 settembre 1983, faceva per la prima volta capolino tra le pagine del Weekly Shounen Jump, permettetemi di chiudere l’articolo con una semplice frase, forse banale e scontata, ma che viene direttamente dal cuore:
GRAZIE, KEN!
inoshikacho 14 Settembre 2013 il 10:31
� la prima volta che i primi 3 articoli che si alternano in prima pagina hanno lo stesso sfondo XP
seriamente, Ken ha davvero fatto la storia dei manga e qui in occidente pure degli anime!
non dimenticher� mai i pomeriggi a guardarlo(senza censure!)su mi pare l’allora JTV…
ningen 14 Settembre 2013 il 19:11
JTV era fantastica! Non solo aveva un casino di serie animate fantastiche, ma era anche avanti quando parlava di web ed internet, quando ancora quasi nessuno sapeva cosa fossero e nessuno ne parlava in TV.