Chi non ha almeno una volta visto anche solo un episodio di Mimì e la nazionale di pallavolo? La bellezza di 104 episodi incentrati sulla vita di Mimì Ayuhara, il suo amore per la pallavolo e la dedizione che (credo) solo un giapponese può dimostrare.
In Italia, la serie animata è andata in onda periodicamente con tre diversi adattamenti (giusto un esempio delle cose cambiate: l’Unione Europea è diventata la Russia) e oggi viene trasmessa senza censure e con il doppiaggio storico su Manga (canale 149 di Sky). Come spesso accade, questo storico anime è tratto da un manga: Attack no 1 di Urano Chikako. Gli appassionati della serie disperavano di poter mai leggere la versione cartacea dell’opera, dato che si tratta di una pubblicazione un po’ vecchiota, ma per fortuna si sono sbagliati: dal 10 maggio in fumetteria è possibile trovare il primo volume dell’edizione italiana (328 pagine in bianco e nero al costo di €6,50) edito J-pop.
La storia ha come protagonista Kazue Ayuhara (Mimì), studentessa del ginnasio che decide di iscriversi alla squadra di pallavolo del suo istituto, il Fujimi. Tra mille difficoltà, parte da qui la sua avventura nel mondo della pallavolo, che la porterà ad affrontare le migliori giocatrici del mondo.
Al contrario di altre opere incentrate su questo sport, come il famosissimo Attacker you! (Mila e Shiro) la storia è caratterizzata da un tono drammatico sia per gli eventi che si susseguono (ci sono morti e feriti), sia per la concezione di vita che ci trasmettono i personaggi.
Per capire la serietà con cui Kozue vive la sua carriera da pallavolista è però necessario sapere come era la società giapponese nel periodo in cui si svolgono i fatti, cioè all’inizio degli anni ’70.
Dopo la sconfitta militare della seconda guerra mondiale, per evitare rivolte della popolazione giapponese, gli americani abolirono attività e letture dai contenuti violenti, militaristici o con valori riconducibili al bushidô. Furono perciò proibiti anche gli sport, che conobbero poi una rinascita alla fine di questo proibizionismo, negli anni ’50. Le attività sportive vennero viste come un modo di incanalare in maniera costruttiva le tendenze aggressive, e su di esse furono trasferiti i valori del bushidô. Detto questo per Kozue la pallavolo non è un gioco, ma un’attività nella quale applicarsi anima e corpo. Per diventare la migliore servono grande dedizione e spirito di sacrificio, la protagonista diventerà un’atleta di fama mondiale, sacrificando però la gioventù in allenamenti durissimi, arrivando anche a ferirsi pur di imparare a prendere una palla. Ciò che spinge Kozue a impegnarsi tanto non è la vanità, ovvero il desiderio di essere migliore degli altri, bensì il tentativo di superare sempre se stessa.
Mi sembra questa una premessa necessaria per apprezzare appieno il manga, che ci racconta un mondo lontano dal nostro ma anche da quello del Giappone contemporaneo e che pure si rivela un’opera tutt’oggi degna di essere letta.
Rapsodia 22 Maggio 2011 il 22:19
Cooompagni!