Ci sono momenti, nella vita di ognuno di noi, in cui si rimane affascinati apparentemente senza motivo da un evento tanto imprevisto quanto sconvolgente. Una sindrome di Stendhal slegata dal contesto artistico, o che comunque lo avvicina solo in senso lato: senti che qualcosa ti scuote nel profondo, senti che il tuo io recepisce qualcosa… un messaggio che fa suo solo a livello inconscio, perché per arrivare a quello razionale deve percorrere ancora molta strada… in fondo, la maturazione è sofferenza mista a solitudine e dolore e per capire davvero il senso di sentimenti come amore ed amicizia è necessario fuggire dalla bucolica immagine dell’infanzia di spensieratezza dove l’io si rintana in cerca di conforto. E’ il percorso di crescita di un uomo, quell’educazione sentimentale tale per cui io… noi… cerchiamo un punto fermo dove tornare, un approdo sicuro lontano dal mare in tempesta della vita spazzato dalle onde null’altro che metafora di sentimenti violenti e selvaggi come amore ed amicizia che si abbattono con violenza sulla nave alla deriva. E sul suo capitano, forse desideroso di affogare. Takada, il protagonista, mi appare oggi come moderno Odisseo in grado di tornare da Penelope (Joshima) solo dopo aver lottato e respinto Nausicaa (la stesura del testo): in questi giorni dove l’amore e l’amicizia si sono uniti in un vortice di dirompente violenza che distrugge la mia nave già da tempo senza un timone stabile e mi proietta nel mare dove non so nuotare e dove sarebbe meglio lasciarsi andare, riesco a dare un significato nuovo e probabilmente più vero a questa racconto.
We have lingered in the chambers of the sea By sea-girls wreathed with seaweed red and brown Till human voices wake us, and we drown.
E’ la terzina con cui si chiude “The Love Song of J. Alfred Prufrock”, un poema di Eliot che da ieri mi è tornato alla mente: letteralmente più calzante per la mia situazione personale, ha una sua interpretazione anche per i protagonisti della vicenda, nonostante la drammaticità di un finale che però profuma di speranza e redenzione. Se queste righe, e le prossime, vi sembreranno troppo deliranti anche per la media dei miei articoli vi chiedo scusa, sono solo le riflessioni più o meno lucide di una nottata consegnata ai suoi spiriti guardiani con qualche goccia di sonnifero in eccesso nel bicchiere. O in difetto, dipende dai punti di vista…
Nakamura Ryousuke è un grandissimo genio. Avrei dovuto usare un altro aggettivo, ma anche nelle precarie condizioni in cui scrivo mi rendo conto che sarebbe una caduta di stile… forse non sono messo così male. I pochissimi fra di voi che hanno avuto la costanza di seguire, lo scorso inverno, lo stillicidio di un “Mouryo no Hako” assolutamente devastante da tradurre e quindi da proporre al pubblico di massa con la continuità necessaria per fare breccia nei loro discutibili gusti avrà certamente pianto di gioia alla lettura del nome del regista ed alla vista di un fluire di immagini che parevano scene tagliate dall’altra serie… una “director’s cut”, o giù di lì. Gli stessi ciliegi, le stesse luci, le stesse ambientazioni… finanche lo stesso protagonista, tanto visivamente quanto nelle corde vocali: fino a questi momenti di parziale lucidità, ho sempre sostenuto la bellezza artistica della coppia di puntate, ora ho maturato la consapevolezza razionale di cui parlavo sopra entrando in comunione con il mio io e percependo il drammatico messaggio di fondo dell’opera… l’amore, l’amicizia ed i sentimenti che coinvolgono due o più persone portano inesorabilmente alla sofferenza del singolo o del gruppo. Mi ritornano alla mente scene di “Orange Road” e la violenza del suo messaggio psico-pedagogico ovviamente perso nella stuprata versione italiana, ma ne parlerò in un momento di maggior consapevolezza di me stesso e di quale parte di quel messaggio si potrebbe applicare alla storia di Melos. Eviterò in toto la parte riguardante la persona seduta di fronte la tastiera, è di ben poca rilevanza.
A livello puramente tecnico, la grande intuizione di Nakamura è stata la giustapposizione… o meglio, lo sovrapposizione di due storie parallele ma spesso incidenti che si integrano e compensano esaltandone i pregi e mascherandone le lacune: il “Melos” di Dezai è solo la rielaborazione del racconto originale greco a sua volta rielaborato sul finire del Settecento da Schiller, massimo esponente del “Weimarer Klassik”: il risultato è una storia nella storia, un uomo dal cuore spezzato dall’amico che in passato l’ha tradito e che, nello scrivere i testi per l’adattamento teatrale di “Melos” ritrova i fantasmi del proprio passato che non ha ancora esorcizzato. Questo specchio dell’anima con il quale Takada (il protagonista) si trova involontariamente costretto a fare i conti diventerà prima catalizzatore della frustrazione e del dolore per la perdita subita ed in un secondo momento lo porterà a domandarsi il perché di quanto accaduto ed attivarsi per rimediare agli errori del passato, dissotterrando i momenti sepolti nelle sabbie del tempo e trovando il coraggio di porre, per quanto possibile, rimedio alle incomprensioni… lottando per cambiare e migliorarsi, una scelta che ora mi sento di etichettare come stupida, arrogante e tremendamente egoistica. Assurgere a migliorare ciò che la Natura non ha concesso è una scelta che porta solo alla sofferenza sterile e senza luce al termine del tunnel, vivere accettandosi con i propri difetti senza pretese di happy ending (che qui comunque c’è, nella sua essenza agrodolce) è una scelta che per Takada e Joshima paga… ma per loro è solo un anime, nella vita reale è tutto un altro paio di maniche. E’ probabilmente il miglior adattamento fra tutti quelli proposti, e la visione è caldamente consigliata. “Jigoku Hen” è tremendamente più devastante e profondo, ma per avere un commento serio e doveroso su quella puntata dovrete aspettare che la disillusione e la vacuità che albergano ora in me sprofondino in abissi ancora più bui.
Download: Aoi Bungaku 09 ITA – Aoi Bungaku 10 ITA by Mangastory
Approfitto anche per riportare i link al download dei precedenti episodi:
Shishimaru 3 Febbraio 2010 il 18:16
lo seguir� certamente! i temi sembrano in qualche modo interessanti. chiss� che possa interessarmi!
donmazza 3 Febbraio 2010 il 18:48
grande mu sei un grande poeta, oltre che un raffinato conoscitore dei sentimenti umani
Grande Mu 3 Febbraio 2010 il 19:37
Grazie per i complimenti, ma se fossi davvero un raffinato conoscitore dei sentimenti umani non avrei scritto quello che ho scritto. E’ un articolo figlio di un momento di follia e delirio, nulla pi�: alcuni pensano che la follia sia l’anticamera del genio, nel mio caso non pu� proprio essere cos�.
Rogros 3 Febbraio 2010 il 22:11
Complimenti lo stesso <.< Gran bell'articolo.
Jacques Mate 11 Febbraio 2010 il 00:53
Ci mancava solo che citasse Joyce e venivo a stringergli la mano di persona.
Stima per il Grande Mu.